Un vecchio custode

Franco si aggira claudicante tra gli scaffali.

Odia camminare, soprattutto da quando la guerra gli ha lasciato quel regalino sulla gamba destra. All’epoca non c’erano né il tempo né il denaro per cercare di stare meglio, ma oggi… Certo che ci ha pensato. È vecchio, non stupido. Al bar c’è sempre qualche volpone pronto a cantargli i mirabolanti progressi della medicina. La verità è che se a questa età entri in ospedale non conta il tipo di malattia, non ne esci più.

Come è successo a Marisa.

Da qualche mese Franco è vedovo. La malattia si è mangiata sua moglie seguendo il solito copione. Lo senti recitare mille volte dagli altri anziani, ma non ci vuoi credere finché non capita a te o, peggio, all’unica persona che davvero sopportavi. Un brutto raffreddore, poi la tosse, la febbre, come una discesa sugli sci fino al ricovero. Da lì in poi la pista diventa piana, la neve sempre più pastosa, gelida: il letto d’ospedale, le flebo, le visite dei parenti. Finché si apre la voragine, scende la valanga.

 

“Si può spostare, per favore? È un quarto d’ora che sta lì impalato!”

Un brivido corre lungo schiena di Franco. Di solito si deve sforzare per non rispondere male, in questi casi. Stavolta si sposta semplicemente, in silenzio. I pensieri lo hanno guidato nello stesso posto di sempre: Cime tempestose, il libro preferito di Marisa, l’unico di cui ricorda la posizione a memoria.

Era stata lei a insistere perché accettasse il ruolo di custode della biblioteca. Aveva dovuto lottare per convincerlo a passare il tempo insieme ai suoi amati libri, piuttosto che con ciò che rimaneva di lei.

“Tanto io da qui non mi muovo,” diceva sempre. Poi sorrideva.

Franco abbassa il capo. Un gesto quasi religioso, quasi fosse quella la lapide della tomba di sua moglie. Prosegue alla ricerca di Tropico del Capricorno. I ragazzi che affollano i tavoli lo fissano con quell’aria da “Porca miseria, vecchio, è la terza volta che passi di qui. Almeno sai cosa stai cercando?”

Giovani. Non si rendono conto della fortuna che hanno. Franco, alla loro età, era in montagna sotto le armi a cercare di non crepare di freddo, prima ancora che per il fuoco nemico. Il fango sulla faccia, gli scarponi zuppi. Altro che questi giovani che si lamentano perché devono studiare. Avrebbe pagato, lui, per studiare.

Passano i minuti e Franco si accorge di aver perso altro tempo nel Paese dei ricordi. Nervoso, come sempre in queste situazioni, si decide finalmente a chiedere aiuto al bancone dei prestiti.

“Lavora qui e non sa ancora dove siano i libri?”

Ecco perché, salvo i casi estremi, Franco non chiede mai aiuto a nessuno.

 

Finalmente sulla poltrona, Franco si gode le prime righe del nuovo libro. Non fa in tempo a girare pagina che le risate di alcuni ragazzi al tavolo vicino lo distraggono. Cerca di fare finta di niente per una, due, tre volte, ma alla quarta si alza e gli intima pacatamente di fare silenzio, dato che il luogo dove hanno la fortuna di stare è una biblioteca e non una casa chiusa.

Era molto meglio quando c’erano le case chiuse.

 

Tropico del Capricorno ha le migliori prime pagine che Franco abbia mai letto. Anche lui ha passato una vita intera a lottare ma, se solo si fosse fermato un attimo a chiedersi per cosa, probabilmente avrebbe smesso subito. Soddisfatto, posa il libro sulla poltrona e si dirige ai servizi. Dopo dieci minuti abbondanti torna, ma il volume è sparito. Franco si guarda intorno, spaesato. Eppure mi sembrava di averlo lasciato lì, pensa. Comincia a trascinarsi avanti e indietro per il corridoio, controlla gli scaffali più vicini, ma niente.

Forse non l’ha posato lì.

Forse non ha proprio cominciato a leggerlo.

La memoria ha già fatto cilecca altre volte, in passato. Franco chiama a raccolta tutta la compostezza e la dignità di cui è capace e si siede, sperando che nessuno abbia visto quella scena imbarazzante.

 

Sempre la stessa storia. Possibile che sia tanto complicato rimettere la sedia sotto il tavolo quando ci si alza per andare via?

Franco afferra quei pezzi di legno tagliati male uno dopo l’altro e ristabilisce l’ordine. È sicuro che alcuni siano molto più vecchi di lui. Fuori dalla finestra è ormai buio pesto quando porta a termine il suo compito. Sotto l’ultimo banco, nei pressi dell’uscita, intravede una macchia azzurra. Avvicinandosi, scopre che la macchia è un rettangolo e che sopra c’è scritto Tropico del Capricorno.

Eppure l’aveva letto sulla poltrona.

Chi c’era già, seduto a quel tavolo?

I suoi passi rimbombano nella biblioteca ormai vuota. Chiude a chiave il portone e si tuffa nel freddo della sera.

 

Quell’Henry Miller era proprio un genio. Stamattina Franco ha aperto persino un po’ prima, per goderselo in santa pace.

Si sente bene. Ha anche messo in riga di nuovo i giovani, che gli hanno dato mezz’oretta di tregua e sono usciti. Ha vinto un’altra battaglia. La loro roba però è rimasta lì, segno che torneranno. Speriamo non portino i rinforzi.

Saranno andati a fumare. Ormai i giovani cominciano così presto, solo per farsi vedere.

Franco ha iniziato a tredici anni, ma allora sì che c’erano dei buoni motivi.

Ecco che torna la voglia. Franco si alza dalla poltrona e si dirige verso l’uscita. Incrocia i ragazzini sulla soglia e sorride: stavolta il libro ce l’ha in tasca.

Si ferma vicino alla rastrelliera e ne accende una. Il fumo gli massaggia dolcemente le narici, poi si dissolve nell’aria gelida di febbraio.

Abbassa lo sguardo. Attaccata al metallo con una catena c’è la solita bici abbandonata, con le ruote ricurve e il manubrio storto. È lì da prima che Franco diventasse custode, anche se sembra meno arrugginita del solito. Il telaio è brillante, anzi. E sopra, in bianco, c’è scritto Bianchi.

Franco non ci vede più. Torna di corsa all’interno. Quando la gamba non vuole collaborare, la solleva con le mani. Passi disturbare, schiamazzare, nascondere i libri, ma la vecchia Bianchina non dovevano toccargliela.

Pochi secondi ed è tra gli scaffali. Per una volta ricorda fin troppo bene dove è diretto.

Urla frasi sconnesse, non riesce nemmeno a capirsi. Le letture gli hanno insegnato che le parole sono importanti e spesso possono arrivare più in là dei gesti, ma non è questo il caso. Il contenuto del suo ruggire è universale.

Franco arriva al tavolo dei giovani, deciso a concludere la guerra nel modo più diretto e violento, ma all’improvviso una sagoma viola gli si para davanti.

“Questa è l’ultima goccia, Franco! Questa è una biblioteca per bene. Qui non c’è spazio per le tue stupide crociate generazionali. D’ora in poi sarai un vero custode: verrai solo per aprire e chiudere e per il resto della giornata starai a casa, al baretto o in qualsiasi altro posto la gente della tua età passi il suo tempo!”

Il direttore della biblioteca ha la sua camicia migliore.

“E ora vattene.”

 

Franco sente il portone chiudersi alle sue spalle.

I giovani, sempre loro. Prima ti tolgono le attenzioni di tua moglie, poi i soldi per farli studiare, poi la dignità: ti chiudono in qualche schifosa casa di riposo sperando che crepi presto, così possono smettere di pagarla e prendersi l’eredità. Poi però al funerale piangono, perché in fondo sanno che un po’ ti hanno ucciso loro.

La temperatura non è proprio l’ideale per fare due passi nel vialetto. Franco, tanto per cambiare, ha dimenticato i guanti. Mette le mani nelle tasche del vecchio giubbotto marrone. Un ticchettio metallico proviene dalla destra.

Spesso le guerre si vincono con le armi più insolite.

Franco si sorprende a chiudere a chiave il portone dell’ingresso principale, poi le uscite d’emergenza laterali e quella sul retro. Non riesce a fermarsi: sarà mica in preda a una forza soprannaturale, come gli eroi romantici di cui ha letto in questi anni?

No, è più semplice. Non vuole fermarsi.

Spesso di un lavoro vediamo solo i lati negativi, senza notare i privilegi che ci dona, pensa mentre apre la porta del locale caldaia. Scende le scale, porta le braccia ai fianchi.

Riflette.

Non esiste guerra che non causi vittime innocenti.

Tutti gli uomini sopra i settant’anni di età sanno usare una pinza e una chiave inglese. Franco non fa eccezione e con estrema cura causa un sovraccarico nell’impianto di riscaldamento.

Tornato all’aperto, il vecchio osserva la biblioteca mentre si riempie di urla. L’incendio divampa e il baccano si fa sempre più forte. Franco immagina le persone mentre si ammassano contro il portone blindato, può quasi sentire le loro energie che si dissolvono nel tepore dell’aria, un tentativo vano di fuggire dopo l’altro. Persino essere giovani è uno svantaggio, se si muore.

Franco si dirige verso casa. C’è tanta strada da fare, e poi non vuole dare tempo ai suoi occhi di realizzare ciò che ha fatto. Non vuole rimorsi.

 

Marisa.

Franco non può ancora andarsene. C’è ancora qualcosa di suo in quell’edificio divorato dalle fiamme: Cime tempestose. Quando tiene in mano quel libro è come se la moglie fosse al suo fianco, viva. Non riesce più a separare il ricordo da quell’ammasso di pagine ingiallite.

Stringe forte la gamba ferita tra le mani e torna al portone di corsa. La serratura scotta, ma quarant’anni al tornio hanno un loro peso. Franco è dentro e corre verso quello che rimane dello scaffale dedicato alla letteratura dell’Ottocento. Si fa strada tra i corpi carbonizzati. Il libro è annerito, ma lo afferra senza esitare. Fa per metterselo sotto la giacca, ma quando è proprio sul cuore la carta si sbriciola, formando un mucchietto di cenere ai suoi piedi.

Franco cade in ginocchio. Fuori di sé, cerca di ricongiungere i granelli di polvere. Le sue lacrime evaporano. Le sue mani stringono la cenere per l’ultima volta, finché la vista si annebbia e il respiro manca.

 

Il telegiornale della sera parla di un tragico incendio divampato in circostanze misteriose alla biblioteca comunale. I pochi superstiti sono ancora sotto choc. L’inviata intervista un ragazzo, l’unico che ha la forza di parlare: “All’improvviso ha cominciato a fare sempre più caldo, poi sono arrivate le fiamme. Pensavo di non farcela, ma poi ho visto entrare dal portone principale il vecchio custode. Le altre uscite erano tutte sbarrate, così ci ha salvato la vita. Per me è un eroe.”

 

Un racconto di Marco Broggini

Illustrazione di Verin

One thought on “Un vecchio custode

  1. L’incendio, la decisione di tornare dentro e l’intervista del sopravvissuto sono un climax di sorprese sconvolgente! Racconto molto avvincente!

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