Nora_Colarieti_Narrandom_Blog di racconti

Hotel Prologue

Il silenzio inonda l’Hotel Prologue, esattamente come la puzza di fumo inonderebbe una stanza dopo qualche sigaretta. Non che Fïtz, cittadina di circa trecento abitanti al sud della Svizzera, sia stata chissà quanto rumorosa o affollata negli ultimi decenni. Fïtz non è infatti diversa da tutti quei paesini grigiastri e abbandonati da Dio, destinati ad avere per sempre un tasso di mortalità troppo alto rispetto a quello delle nascite. Un ammasso di case in legno, strade distrutte e fattorie maleodoranti a cui per comodità si è dato un nome. Un posto che uccide l’anima, che assorbe i rumori… seppur piano piano.

C’è però qualcosa di inquietante nel silenzio degli ultimi giorni, nel deserto che ha preso il posto della reception, nella hall vuota di tutto e nella stanza 12, dove una ragazza dai capelli rossi cerca invano di alzarsi dal letto.

Respira come se avesse percorso chilometri e chilometri per poi precipitarsi sul materasso della sua camera d’albergo. Gli occhi celesti, spalancati, sono del colore dei suoi capelli.

Il caldo la rallenta, è in grado di perforare la pelle e il cervello. Le lentiggini che le contaminano le guance sembrano tante punture di aghi sporchi di fango. La sagoma del suo corpo è circondata da chiazze acquose, la sua fronte è di un colorito grigiastro.

Come una sirena pronta a trasformarsi in spuma di mare, Kristen non riesce più a respirare, a deglutire.

Il telefono fisso è distante pochi centimetri dal suo braccio, ora disteso come un ramo verso il bordo del letto ricoperto di polvere. Basterebbe così poco, invece è bloccata dal velo di afa che sta ricoprendo la sua stanza senza pietà.

Il ritmo del suo ansimare rallenta, gli occhi sembrano uscire dalle orbite. Sul lenzuolo si è formata una macedonia di capelli e bava.

Quando c’è tantissimo silenzio, non è difficile captare ogni singolo movimento. Se fosse in grado di rispondere agli stimoli esterni, la sirena non avrebbe difficoltà a reagire al rumore di alcuni passi che percorrono la hall dell’albergo. Se non fosse così stanca, se non facesse così caldo, quel telefono…

Il caldo torrido sembra aver sciolto le persone, i pensieri, l’intera Fïtz.

Sono passati più di trent’anni da quel famoso incendio che distrusse la città, ma con il caldo torrido sembra proprio che il paesino svizzero sia stato annientato di nuovo.

La porta si spalanca, ma le orecchie ovattate della ragazza non le permettono di voltare la testa in tempo.

Una pallottola le trafigge la tempia, obbligando il suo cranio a muoversi dopo chissà quanta immobilità.

I due militari, con fucili in mano e una piccola maschera per coprire il loro naso e le loro labbra screpolate, rimangono scioccati dalle condizioni della ragazza, al limite dell’umano.

Kristen ha ancora gli occhi sbarrati, il naso secco come una foglia d’autunno e due dita della mano sinistra che si dilettano in alcune convulsioni, in una danza stanca, a rilento.

Come un carillon difettoso, però, quel balletto di piccoli spasmi si esaurisce e pone fine dell’agonia di Kristen.

Uno dei militari, quello col fucile ancora freddo, il più giovane, trema: non si è ancora abituato a sopprimere gli infetti. Compie il gesto della croce, come a voler pensare che Dio, in queste situazioni, si sarebbe coperto gli occhi con le mani.

L’altro ragazzo, invece, esce dalla porta a passo felpato, pronto ad aprire la porta della stanza numero 13.

 

Un racconto di Mauro Colarieti

Illustrazione di Nora

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