Storia della nascita del Premio Nobel per la Brace

DA QUALCHE PARTE NEL SUD DELLA LOMBARDIA, 2036

 

Una giornata come le altre. Sveglia alle sei, una sciacquata ai denti e poi tuta blu indosso, eleganti stivali di gomma consumati ai piedi, e si va a spurgare un’altra fogna.

È incredibile il numero di fogne che si intasa da questa parte del confine, pensa Mauro mentre fa la fila per il passaggio alla Dogana. Come ogni giorno, la sua destinazione è il primo bar della Federazione Italiana Regioni Onnivore. Sono passati ormai dodici anni dalla secessione dell’Unione Panvegana del Nord, ma i controlli continuano a essere lentissimi. Attorno a lui, un incessante ronzio di biciclette, fastidiosa conseguenza del progetto Go green, fuck cars di alcuni anni prima. Proprio quando il rumore sembra aver preso la forma di un’ape pronta a pungere il suo cervelletto allergico, urla atroci gli rubano la scena.

Nell’Unione non è consentito introdurre derivati animali. È logico, ma l’uomo che rantola sotto i colpi dei manganelli delle Teste di Hummus sembra esserselo dimenticato. Nella sua borsa, sotto alcuni numeri di Men’s Health, i poliziotti hanno trovato un salame. In questi casi la procedura è tagliarne una fetta e rifilare al trafficante tante bastonate quante sono le macchie bianche di grasso.

Sarà salame Milano, pensa Mauro contando a mente.

Mauro è un abitante atipico dell’Unione: non si è affrettato a cancellare i ricordi ancora freschi dell’epoca pre-secessione. Ecco perché è l’unico componente della fila con qualche chilo di troppo. Avrebbe potuto trasferirsi nella Federazione, ma ha sempre amato troppo Greta, la quale ha combattuto in prima persona per costruire quel Paradiso Terrestre a base di broccoli e seitan, meglio se crudi.

 

Il bar oltre il confine è quasi da film western di serie C. Finiture in legno, verniciature approssimative. Mauro siede al bancone.

“Il solito.”

Sulle prime il barista fa finta di niente, poi si dirige circospetto verso un cassetto chiuso a chiave. Estrae una bottiglia da vino senza etichetta, tutta incrostata. Attento a non incrociare lo sguardo degli altri avventori, versa qualche goccia del suo contenuto nel caffè di Mauro, che lo beve tutto d’un fiato. Il sapore inconfondibile del vero latte di mucca gli accarezza il palato.

“Sta finendo e non so dove recuperarne. Siamo a corto di bestiame da questa parte della Dogana,” gli dice il barista in un orecchio.

Mauro riflette. Di là ce ne sarebbe in abbondanza e aumenta di anno in anno. Finisce che un giorno ci svegliamo e le vacche ci governano. Gli scappa un sorriso amaro, poi mette i soldi sul bancone. È ora di spurgare qualche fogna, come ogni giorno.

“Tieni il resto.”

 

Mauro apre il tombino e inizia a scendere nel buio. È il migliore a individuare le cause degli intasamenti, così effettua sempre il primo sopralluogo in solitaria. Quando gli stivali di gomma toccano il suolo melmoso si aspetta l’usuale zaffata di quella puzza terribile che impregna i vestiti e non se ne va anche dopo tre lavaggi. Che bello era quando poteva lavorare fumando: teneva la sigaretta il più possibile vicina alle narici, così da combattere l’odore con altro odore. Peccato che fumare non sia healthy e sia stato vietato in tutta l’Unione.

Mauro è assorto in questi pensieri e quasi non si accorge del fatto che il tanfo di fogna semplicemente non arriva. Al suo posto un leggero profumo di carne grigliata gli riempie i polmoni. Forse è solo passato tanto tempo dall’ultima volta che ha sentito un aroma simile, ma non riesce a capire a quale animale appartenga. Quello che sa, però, è che intende scoprirlo.

“Trovato?” Quel rompipalle di Rampazzi. Non sei mai abbastanza sotto terra per non sentirlo che sbraita dalla superficie.

“Ancora niente!” Non è il momento di distrarsi.

Facendosi luce con il cellulare, Mauro avanza nel buio. L’odore si fa sempre più forte, finché intravede un chiarore dietro l’angolo. Il crepitio della fiamma viva è coperto da alcune voci.

“Abbiamo già diverse campagne sotto il nostro controllo. Io dico che è arrivato il momento di uscire allo scoperto!” dice una.

“Avremo anche le campagne, ma siamo ancora troppo pochi noi. Dobbiamo aspettare,” ribatte la seconda.

“Braccio o gamba?” Questo deve essere l’addetto alla brace, pensa Mauro. Gli addetti alla brace parlano sempre e solo del cibo.

Quando si sporge oltre l’angolo Mauro si aspetta di incontrare un gruppetto di sovversivi da quattro soldi, di sicuro non ciò che si trova davanti: due vacche innaturalmente erette sulle sole zampe posteriori (cioè, proprio in piedi) sono intente a discutere mentre guardano con attenzione un video proiettato sul muro più lontano. Le immagini si susseguono a gran velocità e mostrano sempre lo stesso spettacolo raccapricciante: altre mucche su due zampe che supervisionano quelli che sembrano lavori forzati degli uomini nei campi, li frustano o li utilizzano come animali da soma. Quello che cambia a intervalli più o meno regolari è una scritta in alto a sinistra: TORINO, MILANO, PADOVA.

Normalmente Mauro scoppierebbe a ridere di fronte a video come questo. Non è un tipo impressionabile. Eppure stavolta non gli passa nemmeno un istante per il cervello l’idea che sia una montatura. Prova con tutte le forze a non crederci, ma deve arrendersi quando il suo sguardo porta a termine la panoramica. All’altro lato della sala un enorme toro impugna un forchettone con cui si prende cura della doratura di quelli che somigliano proprio, anzi sono un braccio e una gamba umani.

L’uomo non riesce a trattenere un conato e restituisce alla fogna il suo aspetto malsano dipingendo di verde chiaro il pavimento.

“Meno male, la carne umana era quasi finita,” dice il toro, entusiasta. Continua a parlare solo di cibo.

“Bene bene,” esclama la vacca. “Sei nel posto sbagliato al momento sbagliato, umano. La tua curiosità ti ucciderà, come ha fatto con molti altri. Ma prima lascia che ti spieghi cos’hai visto.” Mauro sente il sangue gelarsi nelle vene. “Da quando non ci ammazzate più per mangiarci la nostra popolazione è aumentata. Alcuni di noi si sono addirittura evoluti, come dite voi, e hanno cominciato ad apprezzare la vostra carne. Forse le due cose sono addirittura collegate, pensa un po’. Presto saremo più di voi e usciremo finalmente allo scoperto. Quello che hai visto nei video sarà all’ordine del giorno e tu stesso sarai soltanto un altro schiavo al nostro servizio.” Breve pausa teatrale. “Oh, ma che dico. Non vivrai abbastanza a lungo da vedere tutto ciò. Sei un testimone troppo scomodo. Incornalo, Mungo!”

Il toro riprende le sue sembianze abituali e inizia a correre a quattro zampe in direzione di Mauro, con le corna spianate. L’uomo riesce a malapena a muoversi, ma l’istinto di sopravvivenza gli consente di rimediare solo uno strappo nella tuta all’altezza del sedere.

“Fallo a pezzi!” urla l’altra vacca.

Mungo, infuriato dopo l’attacco andato a vuoto, si volta e riprende a galoppare. Emette suoni terribili dalle narici alla vista delle mutande rosse della sua preda. Mauro corre verso la griglia ancora accesa e decide di giocarsi il tutto per tutto. È il momento di rimarcare la differenza tra uomo e animale. Arrivato in prossimità della brace, Mauro afferra il forchettone e si volta all’improvviso. Guarda il toro negli occhi mentre conficca l’attrezzo nel terreno melmoso, gli sorride. Il bovino corre troppo forte e non riesce a evitare l’ostacolo. Finisce zampe all’aria dritto sulla brace, che sfrigola al contatto con i peli. Il rantolo di dolore si unisce ai guaiti inorriditi delle vacche. Mungo si dimena, così Mauro gli salta addosso e gli conficca il forchettone tra capo e collo, come un perfetto torero. Lotta per scacciare dalla testa il ritornello di un successo estivo di Fabri Fibra, poi si volta verso le mucche.

“Ora tocca a voi!”

Con grande sorpresa Mauro nota che le due vacche sono tornate a sembrare normali. No, non ci casco più, pensa. Proprio quando sta per brandire il forchettone insanguinato contro di loro, una voce lo blocca: “Ora basta, Mauro!”

Quel rompipalle di Rampazzi. E con lui ci sono gli altri colleghi e un gruppetto di Teste di Hummus.

“Odore di carne, poi rantoli di dolore, poi lo squartamento di un toro. Sarà meglio che ci spieghi tutto, adesso,” dice subito uno di loro.

Mauro è confuso, non sa da dove cominciare. Ne ha viste così tante in così poco tempo. Si accorge all’improvviso, però, di non dover articolare alcun discorso. Gli occhi dei presenti sono fissi su un punto dietro le sue spalle, sulle immagini sconcertanti proiettate sul muro.

 

STOCCOLMA, 10 DICEMBRE 2037

 

La Konserthuset è gremita. Il sipario si apre. Mauro suda dietro le quinte, nel suo abito da cerimonia. C’è più umidità qui che nelle fogne, pensa.

“Ora accogliamo con un bell’applauso Mauro Ziggiani, l’uomo che ha riunito l’Italia e forse ha anche salvato l’umanità.” È la voce del presentatore. Il grande momento è arrivato.

Mauro esce allo scoperto. La luce dei riflettori è accecante. La stretta di mano è scivolosa.

“È un grande onore per me conferirti il primo Premio Nobel per la Brace!”

Mauro alza il premio al cielo, sorride. Centinaia di obiettivi lo immortalano. Tra i flash riesce solo a intravedere il volto deluso e adirato di sua moglie.

 

Un racconto di Marco Broggini

Illustrazione di Tancredi Vasile

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