Fabiola Buro

Ufficio Rottamazione Fobie

Fu la camminata più lunga della sua vita. Il corridoio sembrava durare per sempre, in un loop continuo di porte bianche e pareti di vetro, porte bianche e pareti di vetro, porte bianche e pareti di vetro.

Anderson lo seguiva a passo sostenuto, giusto mezzo metro più indietro. David si sentiva il suo sguardo addosso, mentre si sistemava ossessivamente i polsini della camicia.

Quando arrivarono alla fine del corridoio tirò fuori il tesserino, quello con la sua faccia stampata sopra e, a qualche centimetro dal suo naso, il logo blu, bianco e rosso. Lo conosceva a memoria, da quando aveva otto anni e tutti lo chiamavano ancora Dave e lui e suo fratello maggiore Jack lo disegnavano su ogni superficie disponibile. Non era uguale a quello vero, il loro logo, aveva troppi puntini bianchi e la scritta era troppo grande, ma a Jack e Dave piaceva così. Se n’erano anche fatti fare due repliche di stoffa, una toppa da cucire ai rispettivi zaini con sopra l’acronimo NASA.

Quando papà era morto, Dave l’aveva strappata via. L’aveva tagliata in tanti piccoli pezzi, finché alla fine della giornata il suo letto non era ricoperto di stelle che s’infilavano dappertutto. Jack allora gliene aveva fatta un’altra e gliel’aveva rimessa addosso, durante il funerale, attaccandogliela alla giacca con una spilla da balia. Aveva detto ci serve per andare su Fobos e Deimos. Dave non aveva capito; era rimasto a fissarlo, bianco come un lenzuolo e con le mani attaccate ai polsini della camicia, mentre i soldati in divisa facevano scendere il cadavere di suo padre sottoterra.

David infilò il badge nella fessura, lasciando perdere i bottoni, e la porta si aprì con un clack. Anderson lo affiancò e poi si diresse verso la sua postazione.

Ce l’avevano anche Dave e Jack una postazione da cui conquistare lo spazio: l’orto della nonna. Ci erano andati dopo il funerale, solo loro due.

«Finiscono tutte lì le nostre paure», gli aveva detto Jack, indicando il cielo incorniciato dai rami del pesco. Dave aveva alzato la testa, tirando su col naso.

«Sulle nuvole?»

«No, stupido, sui satelliti di Marte.»

«Domos e Femos?»

«Fobos e Deimos. È lì che sta l’Ufficio Rottamazione Fobie. È dove rottamano le paure più grandi che hai.»

«E come fai a saperlo?»

«Me l’ha detto papà la prima volta che è partito.»

Dave aveva trattenuto il fiato. Poi era corso in casa a prendere il vaso di ceramica che la nonna teneva sul mobile in salotto. Era tutto rosso, come Marte. Era perfetto. Sarebbe arrivato sui satelliti in un minuto – forse meno.

Jack aveva sorriso. «Andiamo?»

David osservò attentamente i maxischermi, uno per uno, mentre gli occhi di tutti i suoi sottoposti gli bruciavano addosso. I pixel dei maxischermi erano occupati quasi interamente da Phoenix Mars Lander 2. Era bellissima. Non era tutta rossa, questo no, ma se la sarebbe fatta andare bene lo stesso.

«Lander e rover in posizione» disse, con lo stesso tono con cui Jack diceva sempre sonda spaziale in posizione, prima di infilare il vaso di ceramica della nonna nella fessura del terreno, accanto alla fila di fragole non ancora mature.

«Andiamo?» chiese Anderson.

David guardò le proprie dita, che sfioravano appena il pulsante che avrebbe spedito Phoenix lassù. Aspettò un attimo. Un secondo, il tempo di prendere un respiro – o di lasciarlo andare.

«Andiamo» rispose Dave.

 

Un racconto di Fabiola De Santis
Illustrazione di Alessandro J. Buro

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