Narrandom_Sara Valente_ Giulio Fenelli_ Blog di racconti

Giorni neri

“Signore, per favore, si può togliere quella cosa dagli occhi?”

“Dipende, che ore sono?”

“Le 19 e 20.”

“Allora no, mi dispiace.”

“Signore, non riesco a medicarle la ferita in questo modo. Ma cosa le è successo? ”

“Ha mai lottato a mani nude contro un cigno? ”

“Scusi? ”

“Ha mai combattuto a mani nude contro un cigno di cinquanta chili? ”

“I cigni non pesano cinquanta chili. ”

“Giulio, non fare il coglione e levati quella benda”, interviene la mia dolcissima e simpaticissima ragazza.

Sdraiato sul divano, coi piedi che penzolavano dai braccioli, la tv accesa, a petto nudo con le zanzare che mordicchiavano la mia pancia, ho avuto un’idea: sarò cieco, per due giorni farò il cieco.

Vorrei che questa mia avventura avesse avuto origini nobili: meditazioni al buio sui problemi della vita dei non vedenti, sulle difficoltà delle loro famiglie, avrei voluto, veramente tanto, avere questa idea vedendo un cane guida salvare la vita al proprio padrone.

Ma non è stato così. L’intuizione mi è venuta guardando DareDevil, il supereroe non vedente della Marvel. Ho notato che solo in pochi episodi si scorge la vita comune e banale di Matt Murdock, ed è allora che mi sono chiesto: ma come fa a spazzare per terra? Come riesce a rifare il letto? Come fa a cucinare? Come riesce a capire se ha messo troppo olio nell’insalata?

Così è questa l’esperienza che ho deciso di vivere… al buio.

Per prima cosa chiedo aiuto alla mia ragazza. Mi faccio portare nella sua casa al lago, che non ho mai visto prima, e subito mi bendo. Mentre aspetto che lei apra la porta, cerco di farmi un’idea dell’ambiente che mi circonda concentrandomi solo sull’udito. I rumori, e il modo in cui li percepisco, sono quelli di sempre (la mia parte infantile, in fondo, sperava che con questo esperimento avrei acquisito i poteri di DareDevil, la cosa peggiore è che, a esperienza conclusa, io ci speri ancora), macchine, il campanaccio di una barca, le onde, il vento. Tutto mi sembra estremamente distante, irraggiungibile, quasi come se nulla fosse reale.

Quando entriamo nell’appartamento mi levo subito le scarpe e lei mi prende la mano e mi fa fare il giro della casa che, fortunatamente per me, è piccola. Le cammino dietro con movimenti incerti, la mia mano sinistra stretta nella sua, mentre con la destra cerco di tastare l’aria per delineare i contorni di tutte le superfici. Ogni passo che faccio è strascicato, non alzo i piedi, o li alzo pochissimo, ho paura di farmi male, di sbattere il mignolo su uno spigolo, di dare una testata a uno sportello. È come se tutto quello che ho intorno mi volesse aggredire. Mi sento accerchiato dalla possibilità di farmi male.

La prima cosa che voglio provare nella mia nuova condizione è il sesso. Trovare la camera è facile, spogliarla e spogliarmi altrettanto, trovare la scatola di preservativi un po’ meno e il resto, beh il resto è bello. La mia paura per il buio, ora, si trasforma in una sete di curiosità e sento intorno a me, solo calore e felicità, nessuna paura, nessun dolore.

Quando mi alzo dal letto decido di cimentarmi nella preparazione della moka. Guidato dalle parole della mia ragazza riesco a trovare, abbastanza facilmente, tutto ciò di cui ho bisogno. Riempita di acqua la parte inferiore della caffettiera, inserito il filtro, arriva la parte complicata: mettere il caffè. Stringo la mano sinistra intorno alla moka, mentre con la destra la riempio. Cucchiaino dopo cucchiaino metto il caffè, capirne la quantità è la cosa più difficile: mi aggrappo alla polvere di caffè che cade tra le dita, al rumore dell’acciaio sull’acciaio. Non controllo con la mano se l’ho riempita o meno: mia madre, quando ero piccolo e le preparavo il caffè, me lo diceva sempre: “non toccarlo, diventa cattivo”. Accendo senza difficoltà il fornello, posiziono la caffettiera e aspetto.  Al primo borbottio della macchina spengo il fuoco e subito un dilemma mi blocca: Come devo versare il caffè nella tazzina? Ci metto il dito dentro come fanno nei film, e sicuramente ustionarmi, o farlo a “occhio”?

Scelgo la seconda opzione. Prendo due tazzine e verso il caffè; tastando tutta la superficie della cucina trovo il frigo e, sempre aiutato dalla mia ragazza, afferro la confezione del latte. Capisco perfettamente di aver lisciato la tazza appena sento l’odore di latte spargersi per tutta la stanza. “Scusami, ora pulisco” le dico, poi prendo la tazzina e gliela porgo.

Nonostante il consiglio di mia madre il caffè fa veramente schifo. Capisco dal silenzio che mi circonda che non sono il solo a pensarla così.

Dal lavello prendo un panno per pulire la cucina, lo bagno e lo passo su tutta la superficie; ogni trenta secondi le chiedo “è pulito?” e lei mi dice “no, più a destra” o “no, più a sinistra”. Ci metto due minuti abbondanti per togliere ogni traccia di caffè e di latte, a quanto dice lei ovviamente.

L’esperienza più strana è quando decidiamo di andare al lago. Per complicarmi la vita, la mia simpaticissima e bellissima ragazza decide di portarmi in una piccola spiaggia scogliosa a mia insaputa. Quando, dopo essere passati all’interno del paese e aver preso a spallate ogni genere di forma umana e non, finalmente arriviamo al lago e mi accorgo immediatamente dello scherzo. Arrabbiato e divertito al tempo stesso la mando subito a quel paese in tutte le lingue che conosco (ho una foto di quel momento: io in costume, bendato, con il braccio destro teso, nella classica posa da “ma li mortacci tua”, mentre inveisco contro un muretto. Foto concessami dalla mia dolcissima e simpaticissima ragazza, ovviamente)

Decido subito di tentare la sorte facendo un bagno. La mia ragazza mi prende la mano e mi porta nel posto dove, secondo lei, è più facile discendere in acqua. Applico subito la tattica del “movimento-sexy”: appena supero il primo scoglio mi ci siedo sopra e, utilizzando le gambe come fossero mani, tasto ogni altro masso davanti a me. Ci metto 5 minuti a toccare l’acqua e, con ancora maggiore cautela, mi immergo totalmente. Rispetto a fuori, dove ogni cosa intorno a me può farmi del male, in acqua non percepisco alcuna minaccia. Mi immergo e la realtà scompare, i rumori si attutiscono, non ci sono più angoli su cui sbattere i mignoli, né caffettiere da lavare o pranzi da cucinare. Quando riemergo questo stato di perfetto idillio viene interrotto nel momento in cui sento un rumore provenire non troppo lontano da me, più che un rumore, uno starnazzare che mi gela il sangue. “Ei, cosa c’è alla mia destra?” chiedo alla mia ragazza. “Un cigno”. Da quando, a cinque anni un cigno mi aveva beccato, ne ho il terrore. “Stai fermo, se ne sta andando”. “Sicura?”. “Sì, sì, tranquillo”. Dopo poco meno di due minuti, sento un forte dolore al braccio destro e subito dopo all’orecchio: Il cigno, quel dannato cigno, mi ha beccato. E nel buio l’unica cosa che sento è la risata della mia ragazza. Quando esco dall’acqua la cerco, le do un bacio, le mordo la spalla, faccio un passo indietro, sempre toccandola con le dita della mano destra, e le dico, con la certezza di averla davanti a me “ma li mortacci tua”.

A seguire un breve elenco dei miei danni e disavventure:

  • Un bicchiere rotto
  • Due bottiglie di acqua e una di vino rovesciate
  • Cinque spallate a delle vecchiette
  • Un’insalata sciapa
  • Un’insalata scondita
  • Un grande livido sul mignolo destro
  • Un bernoccolo in fronte
  • di minuti impiegati per mangiare un piatto di spaghetti: 25
  • di macchie sulla maglietta dovute al medesimo piatto di pasta: 9
  • di partite a briscola, stranamente, perse: 5
  • di errori di ortografia nel tentativo di scrivere questo reportage bendato: 120

Un racconto di Giulio Fenelli

Illustrazione di Sara Valente

Giulio Fenelli

Romano DOC. Da piccolo ha frequentato corsi di equitazione circense, golf, tennis, sci alpino e appenninico, e nel tempo libero scriveva poesie. Poi ha conosciuto il whiskey e le sigarette, e alle poesie non ci ha più pensato. Sogna in piccolo: gli basterebbe scrivere il nuovo Notturno Cileno e timonare il suo Pequod.

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