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Pesce palla

Sento come quando metti la testa sotto le onde e le onde ti entrano dentro le orecchie e ti pare di sentire il cuore sfondare le orecchie, ma è solo la pressione del mare che si confonde con quella venosa a perpetrare un rimbombo.

Ho il mento zuppo di saliva bianca. Le labbra violentate da morsi scaltri. Il bacino soffocato da un peso spesso. I gomiti che pugnalano lenzuola di sesso. L’ombelico che trema e i denti sigillati da colla inventata.

Lo vedo, sopra di me, l’uomo che mi sta amando. Gli vedo i granelli di sangue spuntare da dietro la cornea di latte. Gli guardo i tendini saltare su mani che impugnano un po’ di stoffa, un po’ di mia pancia nuda. Mi bacia l’ombelico, e io voglio amarlo mentre mi bacia, perché mi sta amando mentre mi bacia, e voglio amare i suoi baci ombelicali, perché è dolce baciare una donna dove la madre ha cominciato a nutrire, dove una vita comincia a vivere prima in simbiosi, poi sola. Lo trovo dolce l’uomo che si sta infilando dentro di me e mi concentro perché voglio amarlo come lui dimostra di amarmi, con fantasia.

Distendo le gambe e respiro lenta perché i muscoli non si contraggano e diventino duri d’un tratto.

E penso ai muscoli e a quello che ha detto il mio insegnante di biologia e ha detto ieri che ci sono dei muscoli che si contraggono anche se non ci pensi, quelli del cuore per esempio, che si contraggono per forza anche se stai facendo di tutto tranne pensare che il cuore deve fare quello che sta già facendo; e poi ci sono anche quelli che se ci pensi proprio che non devono diventare duri non diventano duri da soli: li devi sforzare come ci si sforza quando si tira una corda o si lancia una palla; e penso che io non voglio lanciare nessuna palla e non voglio tirare una corda, e le mie gambe se io ci penso non diventano rigide perché io voglio le gambe molli e le gambe non sono il cuore. Ho paura. E mentre penso sento liquido dentro il mio ombelico, perché l’uomo che amo mi sta amando.

Ho paura. Ho le gambe molli e voglio lasciare che qualcuno mi ami. Voglio fare l’amore, o del sesso, o voglio che qualcuno mi baci e le mie gambe restino molli come quelle di un neonato, un bambino. L’uomo sopra di me mi prende la mano, la stringe, ma io non sento più niente; sento come quando hai la testa sotto le onde e le onde ti entrano dentro e non sentì più niente, se non il cuore sbattere lento dentro il tuo corpo muto.

Non sento più niente, ho chiuso gli occhi. Ho paura.

Vedo un pesce galleggiare sull’acqua stagna di un pozzo. È gonfio, e sotto l’onda dove è appoggiato c’è un pesce piccolo quanto una pagnotta di pane. È più grosso del pesce piccolo, quello grande, è cinque sei volte più grasso, ma boccheggia per ingoiare più acqua, per diventare più grande di un pesce innocuo che scappa. Si gonfia sempre di più che quasi mi sembra stia per scoppiare. Gli urlo, nella mia testa che è fuori pericolo, ma il pesce boccheggia di più per diventare sempre più grande. Ha paura del mare.

Ho le gambe rigide e non sento niente, ho la testa sommersa da onde, ho paura del mare, di amare.

 

Un racconto di Camilla Corrizzato

 

Illustrazione di Verin

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