4, 203, 12

Ci sono ventidue sbarre elettrificate, milleduecentotrenta centimetri cubi di volume espandibile e trentasei gradi Celsius semi costanti.
Il mio coinquilino ha i capelli castani e gli occhi verdi e ogni tanto, quando gli va, viene a strangolarmi. Rimane con le dita piantate nella mia gola per minuti interi e io non mi muovo mai, non ci riesco.
La chiamano paralisi ipnagogica, quell’illusione di essere aggrediti che capita tra il sonno e la veglia, ma io so che non è questa la mia diagnosi: Lui viene a cercarmi anche quando non sto dormendo, anche quando cammino per strada. Mi abbraccia da dietro e mi comprime la cassa toracica e mi ride nelle orecchie.
Tutte le notti gironzola nella nostra gabbia con un quaderno in mano. Tiene conto delle sillabe della parola i-nu-ti-le (quattro), delle calorie del pranzo di ieri (duecentotré), delle volte in ventiquattr’ore in cui mio padre si è dimenticato di guardarmi (dodici).
Scrive con calma, Lui, senza alzare gli occhi dalle pagine, senza guardare dove va. Milleduecentotrenta centimetri cubi di volume espandibile e li conosce tutti a memoria, passo dopo passo, anche quando diventano chilometri, anche quando spingo le sbarre così lontano da non vederle più, da restare senza fiato per la scossa e la fatica.
Lui cammina fino al confine, segnando quattro, duecentotré, dodici, e non trova mai ostacoli, non si perde mai, non mi perde mai.
Ci sono momenti in cui diventa più piccolo e allora provo a schiacciarlo, a urlargli addosso, a dargli fuoco, qualunque cosa. Qualche volta funziona. Ci sono altri momenti in cui diventa più grande e allora prova a schiacciarmi, a urlarmi addosso, a darmi fuoco, qualunque cosa. Qualche volta funziona.
Ieri mattina si è svegliato insieme a me, alle cinque e quarantotto, e mi ha spinto giù, contro il materasso, e mi ha detto oggi rimani qui, ché sei al sicuro. Ho girato la testa, ho guardato fuori dalla finestra e Lui mi ha fatto scivolare le dita intorno alla gola. Rimani qui, ha ripetuto. Tiene il conto dei giorni che gli servono per ancorarmi a quel letto. Sono tre e mezzo. Passati quelli, non ha più bisogno di convincermi – finiti quelli, ci penso io.
Ci sono ventidue sbarre elettrificate, milleduecentotrenta centimetri cubi di volume espandibile e trentasei gradi Celsius semi costanti.
La mia coinquilina ha i capelli verdi e gli occhi marroni e ogni tanto, quando mi va, vado a strangolarla.

 

Un racconto di Fabiola De Santis

Illustrazione di Maria Caruso

Lascia un commento