Cadevano le pietre

Anno 2—

Roma,

Scrivo qui le ultime parole dell’umanità.

Mi chiamo Romolo e sono l’ultimo uomo sulla terra, o almeno credo.

Non vedo più bipedi da molti giorni.

Scappando da un branco di belve sono riuscito a rifugiarmi qui, in quella che doveva essere una biblioteca, ormai sepolta.

Marco Panzica era l’ultimo bibliotecario. Anna Franzini è stata l’ultima a prendere un libro in prestito, “Cent’anni di solitudine”, Gabriel Garcia Marquez, Mondadori 2055, codice ISBN FSD7463829, reparto letteratura latinoamericana. Non l’ha riconsegnato.

Mio padre mi ha insegnato a scrivere e a leggere; è stato lui a raccontarmi com’è iniziato tutto, come suo padre prima di lui. E tutto è iniziato con la terra che tremava, poi sono arrivate le onde rumorose che hanno fatto colare il fuoco dalle montagne. La terra ha aperto voragini profonde per inghiottire interi stati, i governi sono caduti, il deserto è avanzato e la fine con lui. Sono morte più persone in vent’anni che nel resto della storia del mondo, sosteneva mio padre.

Grazie a lui io so tutte queste cose, e ora che lui è morto io non saprò più niente. Una delle tue bestie lo ha ucciso, vicino ai ruderi di quello che lui chiamava “Cuppolone”. Prima di morire mi ha detto Sei l’ultimo, fai qualcosa che faccia ricordare alla terra che siamo esistiti.

Per questo ho deciso di scriverti una lettera, Terra.

Gli edifici che hai lasciato in piedi sono ricoperti di edera velenosa, il suolo, invece, è calpestato ovunque da animali selvaggi che vogliono uccidermi.

A causa dei tuoi “colpi di tosse”, come li chiamava mio padre, cadevano ogni giorno sempre più palazzi; mi sono reso conto che, alla fine, l’unico edificio che svettava sopra le chiome dei tuoi alberi era il Colosseo. Le sue spirali di pietra bianca, quasi totalmente coperte di verde, sono state le ultime a crollare, ieri. Ho osservato la scena, ho creduto di avvertire l’intreccio delle tue piante all’interno delle sue antiche forme, ho pianto quando i primi granelli sono caduti, perché già sapevo. E quando tutto è crollato mi sono avvicinato e ho scoperto che le tue piante avevano penetrato il suo corpo consumandolo millimetro dopo millimetro. Hai torturato l’ultimo simbolo di quello che eravamo, godendone.

Hai capito che l’unico modo per salvarti era eliminarci.

L’indistruttibile cemento è stato distrutto, l’acciaio immortale è stato piegato, il nostro ferro è diventato ruggine, la carne cenere. Di queste costruzioni non sono rimasti che brandelli di pietra e griglie di ferro. Niente ti resiste, tranne me. Non hai ancora vinto.

Il tuo mondo ora ti appartiene, le tue orde di animali sono ovunque, e dove questi non arrivano, le tue piante, i tuoi soldati più subdoli, giorno dopo giorno, si infilano nelle ferite delle pietre distruggendole. Del passaggio della razza umana non resterà che polvere che tu disperderai nella tua aria per poi annegarla negli infiniti mari.

Sono la ruggine della razza umana, sono ciò che resta di noi. Hai calpestato, con i tuoi passi da titano, tutto quello che abbiamo costruito. Hai estinto la stirpe dell’uomo, ci hai piegato come travi di ferro, sterminandoci.

Per questo, andando contro mio padre, andando contro tutto ciò che mi ha insegnato e, soprattutto, andando contro le sue ultime parole, ho deciso di fare l’unica cosa che può veramente ricordarti di me e di noi tutti.

Io, Romolo, ultimo uomo sulla terra, ultimo padrone di Roma, darò fuoco all’ultima biblioteca del mondo per distruggerti con l’ultima scintilla di umanità. Le fiamme cresceranno e grazie a quello che sei, verde e infinita, non si spegneranno mai. Brucerai in un incendio eterno. Ti estinguerai per mano di chi volevi estinguere.

Per questa volta, Terra, tu sarai il ferro e io la ruggine.

Romolo, l’ultimo re di Roma.

Un racconto di Giulio Fenelli

Illustrazione di Sofia Massalongo

Giulio Fenelli

Romano DOC. Da piccolo ha frequentato corsi di equitazione circense, golf, tennis, sci alpino e appenninico, e nel tempo libero scriveva poesie. Poi ha conosciuto il whiskey e le sigarette, e alle poesie non ci ha più pensato. Sogna in piccolo: gli basterebbe scrivere il nuovo Notturno Cileno e timonare il suo Pequod.

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