Arruginire

Tutti in paese lo chiamavano Ricordino, perché nessuno ricordava il suo vero nome.

Era vecchio, le braccia cadenti e bianche sbucavano dalla maglietta, ogni volta di una gradazione diversa di blu, le gambe erano tappetini di peli bianchi, il naso era grosso, e il suo doppio mento lo faceva assomigliare ad un vecchio San Bernardo stanco.

Passeggiava tutto il tempo aiutato da un bastone con la punta di ferro che, di anno in anno, sembrava usurarsi sempre di più.

Aveva una curiosa ossessione per i luoghi, tanto che tutti si affidavano a lui per chiedere indicazioni, e Ricordino, con la sua immancabile cortesia, dava spiegazioni precise sulle svolte giuste da prendere.

A volte, il più delle volte, gli abitanti del paese non avevano realmente bisogno delle sue indicazioni per piazza Pinto o via Catania, eppure lo fermavano in continuazione e, fra una rotatoria e uno spiazzo all’ombra dove riposare per qualche minuto, eccoli lì a chiedere il modo più veloce per raggiungere un luogo.

Ricordino sorrideva e annuiva con convinzione, prima di lanciarsi nell’ennesima sequela di strade da percorrere, e mentre parlava accarezzava una panchina o un muretto di pietra, la corteccia di un albero o l’intonaco liscio dell’esterno di qualche abitazione; ripeteva che le pietre, la vernice, il ferro e ogni superficie presente nel suo piccolo paese nascondeva un segreto: aveva conosciuto l’amore quando gli acquazzoni si abbattevano violenti, magari su qualche siepe di oleandri che celava lo scorcio di un palazzo antico, l’ambiente perfetto per fare una proposta di matrimonio, o il dolore in quel tratto d’asfalto in cui si era conclusa una vita, o la gioia di un fiocco rosa esposto sul portone di una casa, o la tenerezza di una coppia sposata da mezzo secolo, ma ancora uncinata alla stessa panchina del loro primo bacio.

Tuttavia, per quanto Ricordino si appassionasse a questi piccoli segreti celati nella materia, i nomi e le facce di coloro che li avevano generati non riuscivano a rimanergli in testa.

Anno dopo anno, le persone scivolavano via e restava solo la sicurezza dei luoghi.

Ad ogni passante, una volta finito di dare indicazioni, l’uomo chiedeva un ricordo, era quella strana richiesta che gli era valso il suo soprannome.

«Mi ricordi di lei, cara signora, dove ci siamo già incontrati? È stato un avvenimento speciale o c’incrociamo da sempre?», chiedeva solerte alla signora Castaldo, e la donna sorrideva, di un sorriso triste, e donava all’uomo un loro ricordo insieme. Piazza Pinto, una festa padronale in cui avevano brindato alla nascita del suo primo nipotino. Via della Spiga, le volte in cui Ricordino aiutava l’anziana madre della signora a portare le borse della spesa, appena fuori dalla drogheria, quando entrambi avevano ancora i capelli scuri e le giunture buone. La donna chiacchierava per ore, senza trovare il coraggio per confessare la cosa più semplice: era la sua vicina di casa da una vita intera.

«E tu, bel bambino, ricordami un po’ dove ci siamo già visti, conosco forse la tua mamma o il tuo papà?», domandava a Filippo, frugandosi nelle tasche per offrirgli una caramella alla menta, se le aveva con sé.

Il bambino raccontava della volta in cui Ricordino gli aveva sistemato il sellino della biciletta, in via Pasolini, dopo una brutta caduta in cui, per fortuna, non si era fatto niente. L’imbocco di via Giovanni Marradi, accanto alla fontanella, quando gli aveva riempito la borraccia che non voleva saperne di aprirsi, per via delle sue piccole mani bagnate e troppo scivolose.

L’uomo, allora, strizzava forte gli occhi come a cercare di trattenere quel ricordo, e le rughe del viso diventavano bianche come i suoi capelli, poi sorrideva ancora, ringraziava e riprendeva a camminare, e Filippo lo guardava andar via, con la stessa andatura rilassata di sua madre, e sorrideva anche lui, ma di un sorriso triste.

La persona che in paese aveva ricevuto più indicazioni era Chiara, trentasette anni e una cascata di ricci tenuti insieme da decine di forcine.

«Mi scusi, saprebbe indicarmi come si arriva in via Guastalla?», sussurrava piano, appena incrociava l’uomo.

Ricordino si fermava e annuiva con aria benevola, poi iniziava a sciorinare svolte da prendere e nomi di vie.

«Caspita, lei conosce davvero ogni centimetro di questo paese», affermava Chiara, alzando appena il tono della voce.

«Perché ogni pietra, qui, nasconde un segreto», replicava lui di buon umore, e ricominciava a parlare di siepi di oleandri che celavano scorci di antichi palazzi, di tratti d’asfalto intrisi di dolore, o di panchine in cui era bello invecchiare insieme, senza ricordare chi avesse vissuto quelle vicende, ma fiducioso che ogni strada le avrebbe trattenute in eterno.

«Mi ricordi di lei, cara ragazza, ci siamo già incontrati da qualche parte? Lo sa, i capelli così acconciati le stanno molto bene. Tutte quelle forcine brillano al sole in modo curioso».

Chiara ringraziava per il complimento, sempre lo stesso, e regalava all’uomo piccole porzioni di ricordi sapientemente edulcorati, incontri casuali che avevano segnato la mappa della sua esistenza. Piccoli segreti che Chiara portava sempre con sé in giro per il paese.

L’uomo ringraziava e procedeva oltre.

Ogni sera, al calar del sole, Chiara entrava al civico sei di via Guastalla. Camminava silenziosa fino al salotto e controllava il respiro regolare dell’uomo, rannicchiato sul divano in posizione fetale. Fatto quello, procedeva oltre, e apriva piano quell’unica stanza in cui, nessuno a parte lei, entrava da anni. Spalancava le ante dell’armadio e passava le dita sui vestiti di sua madre, tutti di diverse gradazioni di blu, il suo colore preferito. Poi, si voltava verso il cassettone e sfiorava una ad una le decine di forcine allineate sotto lo specchio, piccoli fili di ferro curvi, ormai arrugginiti dal tempo, e si concedeva di pensare solo per un momento a quel tratto di asfalto che se l’era portata via otto anni prima, quando Filippo era ancora troppo piccolo per ricordarla.

Prima di andar via, tornava in salotto e posava un bacio delicato sulla fronte di suo padre, ringraziando la sorte per quella sua strana mente che conservava i luoghi, ma faceva arrugginire coloro che li avevano abitati.

Un racconto di Giovanna Giordano

Illustrazione di Melissa Brusati

Giovanna Giordano

Giovanna nasce in padania da genitori terronici, dal nord ha imparato ad alcolizzarsi di vino, dal sud a mangiare come se non ci fosse un domani. Da piccola ha frequentato tutte le scuole cattoliche che Verona offriva, infatti poi è diventata atea. Da grande vuol far parte del fronte liberazione nani da giardino.

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