Narrandom - Letto _ Davide_ Blog di racconti

Legno bianco

Nella porta della cameretta, da due settimane, è conficcato un chiodo.

Siedono sul divano, immobili. Dalle vetrate, la luce li colpisce come il flash di una vecchia Reflex. Una fotografia con squilibri di saturazione, quasi un bianco e nero. Le superfici sono pulite e asettiche come un guanto in lattice, con le vene di legno che si notano appena. Bianco il muro alle loro spalle, e le mensole e i libri sopra, bianca la pelle del divano, accanto al bianco del tavolino. Loro, invece, due sagome nere. Lei seduta al centro, rigida, le mani incrociate sul grembo; lui col gomito appoggiato al bracciolo, la testa molle sul dorso della mano, le gambe scomposte. I volti appena distinguibili, impossibile dare una direzione al loro sguardo.

Basta un piccolo gesto e il tempo riprende a scorrere, i colori tornano al proprio posto.
Lui raddrizza la testa, si dà la spinta coi pugni sull’imbottitura e si alza dal divano.
Sopra i jeans indossa una camicia azzurra sbottonata, con le maniche risvoltate fino ai gomiti. Si passa una mano tra i ricci fiacchi. È scalzo, disegna un paio di cerchi storti intorno al tavolino.

Raggiunge il corridoio e si ferma davanti al chiodo. Abbassa la maniglia.
Nella cameretta c’è odore di chiuso, e di vernice fresca.
Un mobiletto rotondo con una sedia in miniatura, un armadio dai pomelli colorati, una sagoma a forma di giraffa per misurare l’altezza, una famigliola di peluche su una cassettiera, sul soffitto l’ombra di stelline fosforescenti addormentate. Al centro della stanza, il lettino.

S’avvicina e si concede qualche istante per riposare gli occhi sull’orsetto che sonnecchia sul cuscino. Ha un paio di occhioni blu, il pancino che esce dalla maglietta a righe bianche e azzurre. Lo afferra per accomodarlo sulla sediolina, ci ripensa e lo appoggia sul tavolo.
Poi toglie il cuscino e sfila la federa, toglie il copriletto, il lenzuolo e il coprimaterasso. Piega tutto, aiutandosi col mento, facendo combaciare tutti i lembi di tessuto.
Ovunque è bianco e c’è ancora l’odore dolciastro dell’ammorbidente.

Quando arriva il momento di togliere il materasso, lei si presenta alla porta della cameretta.

— Cosa fai?
— Pensavo di smontarlo.

Ha i capelli raccolti in una coda disordinata, un girocollo nero, di lana. Fissa il pavimento.

— Immagino che ti serva la cassetta degli attrezzi.
— Adesso vado a prenderla.
— Te la porto io.
— Non preoccuparti, adesso…
— Te la porto.

Lei torna con la valigetta stretta tra le dita, la appoggia sul parquet e si siede per terra, accanto al marito.

— Faccio io, non preoccuparti.
— Voglio aiutarti.
— Ma non puoi fare sforzi.
— Voglio aiutarti. Cosa ti serve?
— Puoi passarmi il cacciavite, per favore.

Iniziano a rimuovere le protezioni di legno verniciate di bianco, una alla volta: lei tiene in posizione le assi e lui svita i bulloni, lei raccoglie le viti e le mette in fila sul pavimento, lui sistema le stanghe in una scatola di cartone – quella del lettino l’avevano già buttata via.
Poi smontano la testiera, sagomata come una nuvola. Lui estrae i chiodi col retro del martello dai quattro pilastri principali, lasciando buchi nel legno. Foglietti di vernice cadono sul parquet. Sfilano le ruote, disincastrano le doghe.

— Cosa ne facciamo ?
— Non lo so.
— Potremmo darlo a qualcuno. O lo porto in discarica.

Lei si alza di scatto. Si mette davanti alla porta, lo sguardo le rimbalza contro le pareti.

— Per ora lo porto in cantina, ok?
— Ok.
— Perché non vai a riposarti adesso? Faccio io.
— Va bene.

Lui sistema tutto nello scatolone: ripiega il materassino, il copriletto, il coprimaterasso, il lenzuolo, il cuscino, la federa. Recupera l’orsetto dal tavolo, gli abbassa la maglia sulla pancia e lo adagia tra il cotone bianco.

Afferra lo scatolone e se lo appoggia sulla spalla destra, ha un déjà-vu. Esce dall’appartamento, scende le scale verso la cantina. La camicia azzurra gli si appiccica sulla schiena.

Sente la temperatura abbassarsi, la vista affaticata. Apre la porticina di metallo, lascia tutto lì sul cemento.
Nella penombra, i chiodi e le assi di legno sembrano riassemblarsi. L’imbottitura bianca, il cuscino di pizzo; un rintocco di campane.

Risale le scale. Cerca di riabituarsi alla luce, si sfrega gli occhi, tiene lo sguardo fisso per non guardare il chiodo sulla porta.
Raggiunge la moglie in camera, a letto, si sdraia sul proprio lato. Lei tiene le mani incrociate sul ventre e gli occhi chiusi. Lui si gira di spalle, inarca la schiena e avvicina le ginocchia al petto.

Stringe gli occhi, e aspetta che un po’ di luce svanisca.

Davide De Capitani

Elenco delle cose che ha fatto: il lettore editoriale, coming out, il correttore di bozze, una lista di motivi per non tornare col suo ex, il copywriter, un corso di canoa, tanti tentativi per scrivere la sua bio. Sì, in quest’ordine.

Illustrazione di Raffaele Cataldo

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