Cena dai tuoi

La spugna sfrega frenetica scrostando pelle morta e marcescente. Devo essere perfetto, devo essere impeccabile. L’essere umano si copre di scoria ogni giorno, ogni minuto trasuda sudiciume dalla pelle, quindi deve lavarsi a fondo e farsi lindo senza tregua. Essere pulito e profumato, fresco come la rugiada: è il dovere di ogni uomo rispettabile.

L’acqua scroscia, gorgoglia schiuma carica di sporcizia giù per lo scarico, che ipnotica gira su se stessa, lotta per risalire e inevitabilmente affonda nel buio. Le ultime gocce cadono piano dalla cipolla della doccia, dalla punta del naso e del mento: quando torna la quiete, passato il rossore dello sfregamento, la pelle è bianca, rinata.

Questa sera incontrerò i genitori di Claudia, persone di tutto rispetto, compunte ed educate. Entrare nella loro casa è un onore non da poco.

Già una volta li incontrai, durante un breve pranzo in centro, un piccolo bistrot: li incontrai e la loro eccellenza mi fece sentire sudicio. Masticare il pollo alla piastra di fronte a loro mi pareva come commettere un incesto sul palco della Scala: capii quanto fossi inadeguato. Capii quanto fossi sporco di fronte ai loro bianchi sorrisi.

I miei denti riflettono infidi aloni gialli nello specchio, nascosti negli angoli più impensabili. Lo spazzolino, lo lascio colpire, senza pietà, ovunque ce ne sia bisogno.

Claudia è in camera, si sta vestendo.

-Amore, sbrigati!

Il filo interdentale, ben avvolto sulle dita, fende implacabile, dallo smalto alla gengiva, ignorando il dolore, portando tutto allo scoperto. Quando sciacquo la bocca, sputo acqua, saliva e sangue.

-Amore, sei pronto?

La scia rossa scivola lentamente, la lingua passa sullo smalto: nessun sapore, a parte un ramato retrogusto. Porterò delle Vigorsol, per sicurezza.

-Sì, sono pronto.

La macchina sfreccia, tangenziale notturna. La villa dei genitori è poco fuori città, un piccolo Eden in mezzo ai campi. Ma prima di arrivarci, che inferno ci tocca attraversare! Tir mastodontici e rugginosi cavalcano pesantemente l’asfalto, spruzzando diesel su tutto. Sotto i lampioni, casermoni di cemento ammuffito e piccole discariche urbane, dove sporchi zingari saltano e bevono. Lungo la strada, vicino ai falò alimentati a plastica, lascive puttane sventolano lingue fameliche.

-Che orrore.

-Cosa?

-Tutto questo… Questi quartieri, questa… umanità.

Claudia mi guarda, gli occhi brillanti nella penombra dell’abitacolo. Io mastico la gomma irrefrenabilmente, sfinendo i muscoli della mascella.

-E’ una parola così ambigua, “umanità”.

-Che intendi?

-Sai, di solito è intesa in senso positivo, come una parola che ci lega tutti, una parola inclusiva. A volte, solo cambiando l’intonazione, diventa la parola più esclusiva che ci sia. Una parola fatta per abbassare gli altri, per ribadire una distinzione… noi contro loro, capisci?

Io non capisco, la linguistica non è il mio forte. Continuo a masticare, cercando la luce in fondo al tunnel, quella splendida villa, quelle splendide persone.

-D’altro canto… Per quanto tagliente possa diventare, non si riesce mai a eliminare quel riverbero che sta tutto nell’accento finale, che sa un po’ di solitudine… di nostalgia.

Claudia sorride. Le piace sentirsi arguta e le piace quando non so cosa rispondere.

Non ho comunque tempo per parlare, o per pensare a una risposta. Controllo la silhouette dei miei capelli nel retrovisore, a caccia di imperfezioni, sondo l’aria in cerca di odori indesiderati. Ripasso la mia perfezione, in cerca della minima sbavatura.

Claudia continua a sorridere.

-Sei nervoso? -No.

-Sì che lo sei.

-Non lo sono.

Claudia ridacchia piano, impercettibile, la sua mano mi accarezza una coscia.

-Che ne dici di rilassarti?

-Sono già rilassato.

-Rilassarti davvero.

La lingua di Claudia indugia su quella parola, davvero, mentre la sua mano si sposta sulla patta, con una stretta delicata abbassa la cerniera.

-Che fai?

-Ti aiuto a rilassarti.

Cerco di spingerla via, ma prima ancora che possa dire nulla, le sue labbra sono già avvolte attorno al mio cazzo, salgono e scendono, provocandolo. Stringo i denti, le mani sul volante, grugnisco.

-Cazzo, dai, fermati.

Ricevo due rapidi mugolii di diniego, mentre il ritmo incalza, una sensazione di calore che dal perineo sale piano fino alla punta. Chiudo gli occhi per fuggire, li riapro appena in tempo per schivare un grosso camion. Lo scatto del volante, lo stridore delle gomme, l’asfalto bruciante, adrenalina: tutto scoppia, la bocca di Claudia si riempie.

Si rialza e si rimette a sedere con gli occhi maliziosi. Le mani sudano e si allentano.

-Sei più rilassato, ora?

-Sì. Sì, lo sono.

La tensione del corpo non c’è più, ma un’altra, più subdola, già si arrampica di vertebra in vertebra: quella sensazione di sporcizia, di impudicizia, la consapevolezza di aver consumato qualcosa di così naturale, ma che dico, di così empio.

-Mangia una gomma anche te, va.

Arriviamo pochi minuti dopo, scendiamo dalla macchina e mi accorgo solo allora di avere ancora la cerniera abbassata, mentre i genitori sono già sulla soglia luminosa. Con un gesto rapido afferro il tiretto e lo tiro a nascondere l’oscenità. Qualcosa va storto e i denti dorati piovono sulle pietruzze bianche e grigie del viale. -Cazzo!

-Che c’è?

-La cerniera! Si è rotta!

Claudia mi guarda un istante, preoccupata, poi mi sorride.

-Tranquillo, amore. Non lo noteranno.

Tace e si avvia, portandosi dietro il suo misterioso sorriso, ancora imperlato della Vigorsol. Io impallidisco, cerco la forza. Ho creato una sinfonia della mia persona e ora tutto rischia la rovina per una stonatura così piccola.

L’aria della sera è fresca, carica dell’inconfondibile odore dell’erba appena tagliata di un prato all’inglese. E proprio muovendo il primo passo, agitando i reconditi angoli del corpo, un altro odore, altrettanto inconfondibile si alza nell’aria. Puoi provare a fingere che sia qualcos’altro, ma sai benissimo cos’è: è sperma. Tutt’intorno a me c’è la puzza di un cazzo sporco.

-Claudia! – esclamo a bassa voce.

-Claudia! – è inutile. Lei è già sulla veranda, già bacia i suoi genitori, già mi fa cenno di avanzare.  I loro sorrisi, le loro aspettative, le loro certezze su di me. Sto per rovinare tutto. Vorrei scomparire, vorrei dissolvermi, vorrei essere veleno e uccidere Claudia. Vorrei non essere qui, con il passo incerto, diretto verso la mano protesa di un padre che profuma di muschio bianco.

Illustrazione di Erica Barrese

Guido Zanetti

Guido nasce a Genova nel 1992. Cresce a Pavia, dove studia filosofia per tre anni e tre quarti. Corre a Torino, dove studia sceneggiatura alla Scuola Holden.

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