Sociologia del testamento perfetto

Penso che ci siano due distinte modalità di rimanere impressi nella mente di una persona. Per completezza, vi informo che ho partorito la seguente teoria sfruttando sia le mie innumerevoli qualifiche professionali che il mio pluridecennale impegno nel capire le complesse relazioni che intercorrono fra gli uomini. Inoltre, e qui mi rivolgo al notaio dottor Bernini, forse è la prima volta che, all’interno di un testamento, si trovi una bozza di teoria sociologica. Cercherò di essere conciso, evitando di far scadere quanto scritto in un improduttivo esercizio di retorica.

Dicevo, ci sono due modi per farsi ricordare in eterno da un essere umano, e il primo è quello di amarlo. Quando parlo del concetto di amore cerco di intenderlo chiamando in causa tutte le sue molteplici facce. Ad esempio (ne farò solo un paio, lo prometto), mi viene in mente l’amore genitoriale, ovvero l’affetto incondizionato misto a senso di colpa che ogni padre e ogni madre prova verso i propri figli; oppure quella sensazione che si saggia in alcuni momenti con la propria compagna o compagno di vita. In specifico, mi riferisco a quel tipo di connessione – uno sguardo, una parola, un qualsiasi tipo di comunicazione verbale o non verbale – intima e profonda, che si avvicina di più a ciò che si può identificare come amore.

Il secondo modo è sicuramente quello di ferirlo. Nel profondo, con cattiveria, senza lasciare scampo. Per riprendere i due esempi espressi in precedenza, tradire quindi la fiducia della persona che ti ama, oppure deludere una volta dopo l’altra e in maniera crescente chi ti ha messo al mondo o colui il quale ti ha instradato attraverso i pericoli della vita, credendo nelle tue capacità. D’altronde, disattendere in maniera inequivocabile le aspettative dell’altro, che sia un singolo o un gruppo di persone, è da sempre una delle vie per l’immortalità.

 

È il cruccio di ogni uomo, quello di essere trasversale rispetto al tempo e alle persone; passiamo un’intera vita a cercare di imprimere indelebilmente la nostra traccia nella mente di ognuno. Chi lo nega è in malafede, chi non lo pensa vuol dire che non è degno di esserlo. Questo sicuramente è stato il mio tormento, dal momento in cui ho capito che il cancro che mi hanno diagnosticato circa sei mesi fa non mi avrebbe lasciato scampo; una malattia che, mangiandomi poco a poco, mi avrebbe portato via da questo mondo terreno. L’unico mondo su cui ero certo di rimanere fino alla fine dei miei giorni, essendo io irrimediabilmente ateo.

 

È per questo che, io sottoscritto Manlio Marsili, nel pieno delle mie capacità fisiche e mentali, consapevole del significato delle mie parole e di tutti gli effetti che da queste scaturiscono, se avessi potuto, avrei lasciato tutti i beni al mio persiano tigrato, l’adorato Hendrix Santana, conosciuto anche con i nomignoli di Ciccio Tempesta e Sergente Pallacorda, data la sua sagace giocosità mista a una prorompente instabilità intestinale. Nonostante la sua inesperienza nel campo della finanza, il gatto sarebbe stato maggiormente idoneo a gestire il mio ingente patrimonio rispetto a mio figlio e soprattutto a mia moglie, nullafacente da una vita, a cui oltre alla parte spettante per legge, comprensiva del casale di Montespertoli, lascio un’indennità supplementare di Euro milleduecento, da erogarle tramite bonifico mensile e da utilizzare solo per le spese strettamente necessarie, che tanto il trucco non le ha mai donato. Potendo disporre di tutto e subito, stolta com’è, finirebbe in sei mesi i guadagni di una vita, e io questo non lo potrei mai permettere. Le voglio troppo bene per lasciarla marcire nello squallore della sua esistenza.

 

Pur non possedendo capacità giuridica, gli animali meriterebbero molta più considerazione, in quanto custodi dei più intimi segreti di ogni proprio padrone. Dopo aver sistemato la moglie, lascio a quel perdigiorno di mio figlio, oltre purtroppo alla quota di eredità che gli spetta per legge, anche queste poche e semplici parole: non sprecare ancora la tua vita. E quindi a te, Dario, il cui unico sforzo mentale e sociale è stato quello di ascoltare a volume inaudito Beyoncé e Lady Gaga per anni, rendendo ancora più atroce la mia triste agonia di questi ultimi mesi, lascio anche la cura di Hendrix Santana, a cui dovrai provvedere come una madre fa a suo figlio. Questa per te sarà la prova più grande, una prova che sono certo disattenderai.

 

Dato che non potrà ereditare beni materiali, a Hendrix Santana lascio in custodia tutta la mia misera famiglia. L’unico a non avermi mai deluso, e quindi non posso che ringraziarti per essere stato accanto a me fino alla fine, degnandomi di un tuo sguardo fugace e ignorandomi quel tanto che basta per farmi sentire ancora vivo.

Un racconto di Marco Parracciani

Illustrazione di TeppaElle 

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