Sulle macabre spoglie del mondo

Il prete era in viaggio da molti anni. Vagava per quello strano mondo derelitto senza una vera destinazione. Per alcuni era da pazzi, considerando quanta crudeltà resistesse sulla strada, ma a lui non importava: pensava alla vita e alla morte come cose remote prive di significato e in ogni caso stava ben attento a non mettersi nei guai. D’altra parte finora nessuno aveva mai provato a ucciderlo o derubarlo. Forse era merito dell’abito talare. O magari aveva solo avuto fortuna.

Una volta passò nei pressi di una città viva. La riconobbe nel nero assoluto del mondo per via dei fuochi accesi. Era affamato, lercio e stanco, ma non si avvicinò giacché sapeva che dalle città vive era meglio stare alla larga.

Quando accumulava troppa fatica cercava ripari di fortuna dove consumava scatolette di viscido cibo precotto scavando il fondo delle sue provviste. Poi si stendeva accanto al fuoco e contemplava la rotazione dell’universo: le stelle erano enormi occhi azzurri arancioni e rossi pronti a chiudersi per sempre. Restava a guardarle finché non si addormentava.

I giorni trascorrevano per lo più identici: la sua quotidianità era uno sbiadito alternarsi di luce e tenebra ugualmente freddo.

Un pomeriggio giunse nei pressi di un fiume. L’acqua puzzava di rancido. Nei pressi della riva c’era un uomo nudo, impolverato, la pelle consumata dalle piaghe. Il prete lo raggiunse e gli chiese se avesse fame.

Ho così tanta fame che se mangiassi vomiterei, fece l’uomo.

Vuoi dell’acqua?

Magari.

Che ti è successo?

Quello che è successo a tutti.

Il prete annuì e gli diede un po’ della sua acqua. L’uomo prese un sorso, si strozzò, tossì e restituì la borraccia.

Vuoi confessarti?

L’uomo gli scoccò un’occhiata torva: Confessarmi?

Sì.

No.

Avrai pur qualcosa di cui vorresti liberarti.

Solo della vita.

Avanti.

Si guardarono. Poi l’uomo scoppiò a piangere e si lasciò andare alla confessione di una sequela di peccati. Dovevano pesare sul suo cuore come terribili atrocità, perché mentre le elencava singhiozzava. Alla fine il prete lo assolse e ripartì, la gola annodata e il cuore pesante. Ogni volta che ascoltava una confessione era come assorbire in sé un briciolo di oscurità. Prima o poi, pensava, sarebbe riuscito ad assorbirla tutta. E quella sarebbe stata la fine del suo viaggio. Fino ad allora avrebbe continuato a muoversi.

Camminò per due giorni senza mai fermarsi.

Poco prima del tramonto del terzo giorno, mentre attraversava una vecchia prateria inaridita, trovò un bivacco con tre ubriachi: lanciavano dadi scommettendo per l’ultimo sorso di liquore. Mentre si avvicinava li sentiva che parlavano di rapine e stupri. Non appena lo notarono corsero da lui e si gettarono ai suoi piedi implorando una redenzione. Si aggrapparono alle sue vesti dicendo: Liberaci dal male, prete, per l’amor di Dio, liberaci dal male tu che puoi. Lui accettò, ma non appena li ebbe segnati con la croce udì le bestemmie e le grida di scherno dei demoni che avevano nel cuore, sicché in luogo di redimerli se ne andò in tutta fuga con loro che lo insultavano e minacciavano.

Nelle settimane seguenti marciò su strade nere e senza nome, attraversando campi inariditi e campagne abbandonate.

Per tutto quel tempo non vide anima viva all’infuori degli uccellacci e dei cani selvatici. Poi, giunto in prossimità dei ruderi di una vecchia chiesa, il prete notò una donna. La vide da lontano scavare la terra a mani nude, mentre piangeva e gridava. Quando fu abbastanza vicino capì le sue ragioni: il corpo esanime di un bambino buttato lì come una pezza. Sedette su un masso liscio e aspettò. Finì che era quasi sera.

Il prete non si era mosso. La donna gli si avvicinò asciugandosi il sudore dalla fronte con un braccio. Era sporca, emaciata; pidocchiosi capelli davanti alla faccia come un tragico sipario.

Che è accaduto?, le chiese.

Ci siamo addormentati insieme, ma lui non si è svegliato.

Stava male?

Non mangiavamo da settimane.

Mi dispiace.

Davvero?

Sì. Sarei potuto arrivare prima.

La donna scosse la testa. È così che vanno le cose ormai.

Già. Le diede alcune scatolette.

Lei ficcò tutto in una borsa. Poi guardò la tomba che aveva scavato e ricominciò a piangere. Dopo un po’ disse: Ti sei mai chiesto perché sia andata così?

Ogni giorno che vivo.

E?

E cosa?

Cosa ti sei risposto.

Che c’era troppa malvagità perché restasse impunita.

Pensi che troveremo qualcosa dopo quest’inferno?

Credo proprio di sì.

Come fai a dirlo?

Perché questo non è ancora l’inferno.

La donna ricominciò a piangere e il prete le propose di pregare insieme. Alla fine lei lo baciò su una guancia, quindi se ne andò.

La guardò rimpicciolire fino a un minuscolo punto nero.

A sera si accampò nei pressi di un bosco di cedri avvizziti e accese il fuoco. Mentre mangiava, rimuginò su quanto stava accadendo.

Le montagne all’orizzonte erano enormi mostri neri pronti a sbranare il cielo, ove sembrava non esserci più alcuna traccia di giustizia o speranza. Avrebbe voluto piangere, ma aveva gli occhi secchi come la terra arida sulla quale si muoveva.

Quella notte fece uno strano sogno: vide una lunga processione di reietti, uomini e donne che riconobbe come le anime dei morti senza perdono legate le une alle altre dalle pastoie della colpa. Arrancavano incolonnate verso una nuova divinità pseudomorfa, per metà donna e per metà capra, il cui corpo era un groviglio asimmetrico di pura essenza, glifi ectoplasmatici come terribili profezie del futuro. Giunte al suo cospetto, le anime venivano assorbite sino a compenetrarla, in una sorta di blasfema transustanziazione.

Si svegliò di soprassalto che era quasi giorno, gli occhi gonfi dal pianto. Lanciò un’occhiata sbieca alla terra, poi si alzò.

Un pallido raggio di luce solare arrancava al di là dell’orizzonte. Il prete calpestò i resti carbonizzati del fuoco, indossò la bisaccia e riprese ad andare sulle macabre spoglie del mondo.

Un racconto di Matteo Raimondi

Illustrazione di Alessia Arti

Lascia un commento