Là fuori

Come sempre, per non mischiarsi al puzzo di sudore, di piedi e di scorregge degli altri, aspettò fuori, spettegolando con il custode sui favoriti del Roland Garros. Preferiva lasciarsi seccare la stanchezza addosso che condividere l’odore dei tappetini di gomma bagnati. Lo spogliatoio, lui, se lo voleva godere tutto da solo. Per questo specificava agli avversari del giorno di trovarsi direttamente al circolo: non voleva avere vincoli, non voleva abbandonare prima del dovuto la sua ricreazione dalla quotidianità, la stanza in cui poteva prendere tempo da tutto quello che lo attendeva là fuori.

Anche l’ultimo giocatore lasciò lo spogliatoio. Finalmente poté entrare e togliersi i vestiti fradici. Appoggiò la racchetta sulla panca di legno, sempre la stessa, da una vita, e pensò che se da bambino ci avesse inciso sopra qualcosa, adesso, con la mano, avrebbe potuto ancora accarezzarne i solchi. Fece scorrere l’acqua della doccia, salutò l’immancabile soffione otturato, e si lasciò avvolgere dalla nube di vapore piena di «Ancora ne devi mangiare di pappa per battere il tuo vecchio» detti, anni prima, in quello stesso spogliatoio, da suo padre quando giocavano insieme. Poi squillò il cellulare.

Tutto nudo, con calma, come se si aspettasse la telefonata, raccolse il cellulare da un angolo sulla panca. Osservò il tubo di palline fare capolino dalla borsa e dovette resistere dallo stapparlo e dall’inspirare a pieni polmoni vecchie partite di tennis alle sette di mattina dove ogni punto vinto aveva un suono così paterno.

Rispose.

− Amore – disse una voce femminile dall’altra parte. – Sei al circolo?

− Sì – rispose lui.

− Io sono davanti alla clinica.

Rimase in silenzio e chiuse il rubinetto della doccia.

− Non sono sicura di volerlo fare.

− Come mai?

− Non lo so, amore. Ne abbiamo già parlato – la sentì sbuffare. − Lo sai quello che provo.

− Cosa provi?

− Lo sai – gli sembrò stizzita. – Ci sono troppe variabili: io, te, Paolo, c’è anche Paolo, te lo sei scordato?

− Cosa c’entra Paolo?

− C’entra eccome! Non fare lo scemo, e poi cos’hai? Hai una voce strana.

− Sarà il vapore della doccia. Non ti preoccupare – la tranquillizzò, provando a scorgersi nello specchio appannato.

− Ti devo ricordare che se a me, a te e a Paolo aggiungiamo il bambino ogni decisione avrà conseguenze diverse?

− Tutte le scelte con conseguenze diverse sono scelte che non ti possono ferire più di tanto – rifletté lui ad alta voce.

− Pensavo che avessi deciso. Eri così convinto l’altra notte. Dov’è finita la differenza d’età? Il desiderio di non sciupare tutto?

− Prima o poi qualcosa si rovina per forza – bisbigliò lui.

− Già, ma non voglio che succeda al nostro rapporto, lo sai, e non penso che questo lo rovinerebbe, anzi. Capisco la paura, sei ancora giovane, ma io ho tanto amore da dare. Ne ho per te e per lui.

− Per Paolo?

− Incredibile! – e lui non riuscì a capire, per il segnale debole, se stesse ridendo o piangendo, o entrambe le cose. Si spostò un po’ più in là, sedendosi sulla panca a culo nudo, incurante di funghi e batteri che ormai non gli facevano più paura.

− Perfino ora hai voglia di scherzare – sentì. – Sarà per questa tua leggerezza che sono disposta a lasciare tutto. Questa vita qui dentro è anche tua, o te lo sei dimenticato? Se prendiamo questa strada non potremo tornare indietro.

− Non si torna mai indietro.

− Sì, ma perlomeno, in uno dei due casi, saremo insieme.

− Già.

− Cosa vuol dire questo “già”? Ci stai ripensando?

− Non lo so.

− Hai bisogno di altre dimostrazioni?

− Sei sicura di volere lasciare tutto?

− Solo se tu sei sicuro di voler diventare padre.

− Diventare padre – disse come se andasse cercando certi suoi propositi in certi suoi ricordi. – Se diventassi padre, sicuramente giocherei con mio figlio a tennis: lo porterei al circolo, la mattina presto, in attesa di accompagnarlo a scuola, e al pensiero di condividere con lui lo spogliatoio, dopo la partita, mi alzerei volentieri prima e affronterei rilassato il traffico delle nove dopo.

− Perché non me l’hai mai detto prima? Perché finora mi hai solo accusato di tutte quelle cose orribili?

− Non l’ho mai detto a nessuno. Certi pensieri si possono lasciar andare solo in determinati posti – disse, rivolgendo un sorriso allo spogliatoio.

− Ho tanto amore da dare – si sentì dire dopo un breve silenzio. − Non sarò una madre giovane ma potrò esserne una brava. Questa è l’ultima settimana, te lo ricordi?

− Tutte sono ultime settimane, ma lo si capisce solo dopo.

− Io non voglio oltrepassare quella porta. E comunque da sola non ce la posso fare. Diamogli una possibilità.

− Ma le possibilità richiedono impegno.

− Lo so, ma noi possiamo essere meglio di quello che siamo stati finora. Dimmi che hai fiducia in me, che ce la faremo, ti prego.

− Ho fiducia in te – le disse e rimase ad ascoltare in silenzio il pianto di gioia dall’altra parte del cellulare.

− Allora stasera lo dico a Paolo. Ma tu sembri così diverso, però. Cos’hai?

− Mi dispiace per Paolo – ammise lui. – Mi dispiace per chi non ce la fa.

− Paolo capirà – la sentì sospirare. – Non può fare altro che capire. Comunque, sono già in macchina, me ne sono andata. Tu, piuttosto, cosa fai? Sei ancora al circolo?

− Nello spogliatoio.

− Nudo? – gli giunse un risolino.

− Quasi, mi sono appena rimesso le mutande.

− Sei sempre il solito – e la sua voce gli sembrò più serena. – Ti lascio stare, ok? Ci vediamo domani a casa tua, e sarà tutto diverso, vero?

− Sarebbe bello.

− A domani? – si sentì ripetere con un timbro gracile.

− Va bene.

− Ti amo.

− Ti amo anch’io – e attaccò, guardando il cellulare.

Era fortunato: l’ora dopo era libera, nessuno aveva prenotato il campo. Poteva trattenersi quanto voleva, e lo fece.

Si rivestì con calma, si asciugò i capelli provando a calcolare quanti ne aveva persi, in tutti quegli anni, negli scarichi dello spogliatoio.

Pensò a come doveva essere la vita di un custode di un circolo tennis e che, forse, di tutti i lavori che si vorrebbe fare, bisognerebbe sempre scegliere quello sognato da bambini.

Controllò di aver preso tutto e, con una dolce nostalgia ad accompagnare i suoi passi, lasciò lo spogliatoio.

Cercò il custode e lo trovò a trafficare nel magazzino. Gli disse di prenotargli il campo per due ore sabato mattina e pagò.

− Come sta tuo padre? – gli chiese il custode.

– È sempre lì, su quel divano – rispose, con una nota triste negli occhi.

Il custode gli restituì un sorriso accorato e comprensivo, lo salutò con una pacca sulla spalla e riprese il suo lavoro.

− Ah – si ricordò, chiamando di nuovo il custode. − Qualcuno deve aver dimenticato questo nello spogliatoio – e gli porse il cellulare. – L’ho trovato sulla panca. Mettilo da qualche parte, casomai il proprietario venisse a riprenderselo.

 

Un racconto di Luca Giommoni

Illustrazione di Alessandro Buro

3 thoughts on “Là fuori

  1. Ci hai descritto una ragnatela di rapporti – tra genitori, tra futuri genitori, tra amanti e tra coniugi – con uno centro: il ragazzo. È giovane, ma il suo carico è pesante. Non sarà la doccia dopo una partita a dargli il sollievo, e questo lo hai descritto molto bene. Dovrà mettersi in campo e giocare, sapendo che dovrà far vincere anche l’altra parte, come faceva suo padre con lui.
    Un racconto che mi è piaciuto leggere.
    Ciao

  2. Il racconto è omogeneo. Il dialogo è essenziale e il detto non detto (deve essere così perché i due al telefono conoscono perfettamente la propria situazione e quella dell’altro) aggiunge qualcosa al già delicato tema di cui discutono al telefono.
    Forse l’ultima frase di pagina 2 è una forzatura: in quella situazone, dopo quel dialogo, riesce a pensare che il lavoro da fare da grandi è quello sognato da bambini?

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