Miele

A corto di quattrini, in questo giorno qualsiasi del mese di giugno che dal giornale non si fa sentire nessuno, Daniela mi becca con la testa dentro il frigo a mangiare le ciliegie gentile omaggio di suo padre. Primizia di stagione che noi, con le sole finanze di cui disponiamo, non possiamo permetterci.

La nostra derelitta brigata di scappati di casa è così composta: un’attrice in scena tutte le sere al ristorante Andromeda nel ruolo della cameriera; un videomaker senza attrezzatura che gira tutto con il cellulare sostenendo sia una precisa scelta stilistica; e infine il sottoscritto, collaboratore di un importante quotidiano locale a undici euro lordi al pezzo.

Daniela mi becca e mi fa «Oh».

«Eh», le dico.

«Piano».

 

Enrico, regista male in arnese che io e Daniela abbiamo adottato, buttato fuori di casa dalla fidanzata perché refrattario alle norme della civile convivenza, si mette a tagliare sottilissime cinque patate stravecchie che cominciavano a fare i germogli. Più sottili sono, dice, meno il forno rimane acceso meno energia si consuma meno paghiamo di bolletta.

«E che cazzo però», dice Daniela, «anche il miele». Tira fuori la testa dalla credenza e ci guarda come le merde miserabili che siamo, scrocconi senza vergogna e senza un soldo.

Io però lo odio il miele, io col miele non c’entro niente. Enrico alza le spalle e abbassa la testa verso il forno per dare uno sguardo alle patate. È il suo modo di scusarsi. Daniela sbuffa e fissa il calendario. Poi mi guarda e dice:

«Oggi tocca a te».

«Pulizie?».

«No».

«Spazzatura?».

«No».

Oh madre di Dio.

«LA SPESA», dice lei agitando il barattolo vuoto del suo merdosissimo miele amaro di corbezzolo da nove euro e novantanove.

Tiro fuori il telefono per controllare l’app della banca. Apro e clicco su “mostra saldo”.

Oh madre di Dio.

 

Questo tracollo della spesa ci capita a settimane alterne secondo un algoritmo di cui soltanto Daniela è davvero padrona. Noi, più che altro, eseguiamo.

Abbiamo il sospetto, quando tocca a Enrico, che vada a rubare all’alimentari come Beningni in Johnny Stecchino. Non torna mai con lo scontrino e porta sempre un regalo per Daniela: un fiore, un cioccolato, una piantina di basilico.

Ma io non sono capace. Non son buono a mettere da parte, a scegliere il prodotto più buono al miglior prezzo, a confrontare e valutare. Io butto i soldi dalla finestra tutti i giorni, mi faccio dolorosamente inculare dalle compagnie telefoniche che più passa il tempo e più mi inculano cambiando tariffe, togliendo servizi, aumentando il canone fisso. E odio contrattare coi call center, minacciare disdetta, giurare un cambio di operatore. Siamo adulti, che cazzo, un po’ di buon senso e nessuno si farà male.

Ma sopra ogni cosa odio fare la spesa, sul serio.

Daniela prende un foglio e comincia a buttare giù la lista mentre io prego il Dio dei poveri che almeno la scorta dei detersivi sia ancora robusta e non lamenti mancanze.

«Ammorbidente…», dice Daniela pensando a voce alta, poggiando sul labbro la punta della matita.

Controllo il telefono, aggiorno l’app, clicco su “saldo contabile”: quindici euro e novantanove centesimi.

Oh madre di Dio.

 

Quando la spesa tocca a Daniela lei riesce a starci dentro perché il caffè, la frutta e i detersivi glieli passano i suoi. Daniela sa tutto Shakespeare a memoria ma prende ordinazioni vestita da pin up anni ’50 in quel ristorante gaggio e assurdamente caro che si chiama Andromeda, in cui ogni piatto ha il nome di una costellazione e in cui le cameriere sono delle maggiorate come Daniela con il décolleté compresso da un misero bottoncino che sembra sempre sul punto di scoppiare.

Ci piace molto, a Enrico e a me, andarla a prendere al lavoro, aspettarla nel minuscolo androne di fronte allo spogliatoio dove a fine turno escono tutte le cameriere.

Daniela certe volte ci porta con loro a fare aperitivo e scopriamo che queste ragazze sono tutte attrici di teatro o aspiranti di cinema o danzatrici in erba. Il tempo di finire la stagione, di mettere qualcosa da parte – dicono – e vedrai che ci danno un taglio con questa vita di sacrifici. È un momento, dicono, lo hanno fatto tutte.

Daniela ha recitato la parte della morta in una fiction di Canale 5, stecchita e mezza nuda sul lettino di un’ambulanza. Sono due anni che lavora da Andromeda. Tutte le sere tranne il lunedì. Neanche il tempo per trovarsi un bravo ragazzo. Ma dice che è un momento, e che i bravi ragazzi sono roba da catechiste, «Ti sembro una catechista?».

Enrico sta lavorando a un videoclip per una band emergente, lo sta editando su un Iphone comprato online con una carta di credito clonata da un suo amico hacker. Dice che ancora non ha svoltato perché adesso vanno di moda i droni, e se la prima inquadratura non è una ripresa dall’alto non ti stanno manco ad ascoltare.

Daniela è l’unica che potrebbe pagarsi la spesa senza sforzi, ma tutto quello che guadagna lo mette via per iscriversi alla Silvio D’Amico. Dice che ha bisogno di studiare. Dice che a lei, come talento naturale, è toccato in sorte quello di saper recitare bene solo parte della morta.

All’MD dove faccio la spesa io non ce l’hanno il suo miele amaro di corbezzolo da nove euro e novantanove il pezzo. Aggiorno l’app, hai visto mai che mi arriva un bonifico e le prendo un mazzo di fiori. Clicco su “saldo contabile”:

«Oh madre di Dio», mi scappa di dire alla cassa, a voce alta.

Un racconto di Nicola Muscas

Illustrazione di Alessia Arti

Lascia un commento