Pellino_Quaranta Narrandom Racconti

La buccia e Margherita

Mi ricordo bene, certo. Margherita sta distesa a terra con le mani strette intorno al collo e gli occhi rovesciati. Rantola e scalcia. Vincenzo ha aperto la sua borsetta per cercare una specie di siringa che ora tiene sospesa a mezz’aria terrorizzato. Io mi accendo una sigaretta. Ho giurato di dire tutta la verità eccetera eccetera, quindi lo ammetto: mi stavo godendo lo spettacolo. Ma non è questo il punto, no? Dopo un po’ la faccia di Margherita diventa quasi dello stesso colore del suo rossetto. In proposito vorrei rettificare la mia prima deposizione. Non era un rossetto, era una tinta labbra, altrimenti non si spiegherebbe come fosse rimasto intatto per tutta la cena. Ha corretto? Bene. Sono lì che guardo la scena e sento il suono delle sirene dell’ambulanza che si avvicinano. Vincenzo piagnucola e continua a tenere la siringa sollevata senza avere il coraggio di fare niente. Per fortuna arrivano i paramedici e uno di loro mette fine a quello strazio con una bella stilettata al centro dello sterno. Mentre la portavano via ho pensato che finalmente potevo bermi il Vermentino, l’avevo pagato quasi venti euro. È stato a quel punto che Vincenzo si è messo a sbraitare e a dire è stata lei, è stata lei, è stata lei, come se fossimo in una puntata di Forum.

Ed eccoci qui. Lui dice che io lo sapevo, ma come avrei potuto? Non siamo amiche, io e Margherita. È solo la fidanzata del mio ex. Lui voleva per forza che ci andassi d’accordo. Ormai non funziona più che ci si molla e non ci si rivolge più la parola, sa? Adesso uno si lascia, ma poi si deve rimanere in buoni rapporti. Quindi giù di aperitivi, cinema, bowling, cene a casa di questo e di quello. Immagino cosa le avrà detto Vincenzo. Avrà tirato fuori la storia della ruota bucata, come se non capitasse a chiunque di ritrovarsi la gomma tagliata se si parcheggia a San Salvario. Le avrà parlato dell’incidente durante l’escursione in montagna, ma come fa lui a dire che l’ho spinta? Insomma la verità è che a me non andava a genio, ma mi sono sempre comportata bene. Ho organizzato pure quella cena a tre. Me l’ha consigliato la terapista. Mi ha detto invitali, passate una serata solo voi tre, cucina qualcosa, compra una bottiglia. Lei ora mi chiederà del dolce. Ci volevano le pesche noce, d’accordo, perché servivano intere, con tutta la buccia, e le altre hanno i peletti, sulla buccia. Però che devo dirle? Al supermercato le avevano finite, ho usato quelle normali. Capirà, servivano giusto per guarnire, e con tutta quella panna sopra neanche si vedevano. Lei dice però Margherita è allergica ai peli delle pesche. Ed eccoci al punto. Converrà che non è proprio un argomento di conversazione. Ah, sai, io sono allergica ai gatti. Ma dai? Io alla buccia pelosa delle pesche. Insomma, non lo sapevo.

Mi ricordo bene, certo. Margherita con i suoi riccioli biondi che non-ci-faccio-nulla-li-lascio asciugare-all’-aria, le labbra rosse impeccabili a fine pasto, i pantaloni taglia 38 e le tette alte e sode. Margherita che ha letto tutto Garcia Marquez, ha l’abbonamento a Internazionale e non si perde una mostra alla GAM. Me alla sua età. Me quando pensavo che avrei vissuto d’arte, non sarei stata ricca, ma sicuramente felice. Me quasi venti chili fa, quando mi dividevo tra Vincenzo, lezioni e presentazioni di libri e mi dimenticavo, sul serio, di mangiare. Quando avevo voglia di uscire e viaggiare, non solo di arrivare a fine giornata per spegnere il cellulare e ingozzarmi di Sofficini davanti alla tv. Quel dolce lo avevo fatto due volte, perché la prima non era venuto bene. Avevo messo la panna a piccoli sbuffi su tutta la superficie, venti minuti buoni. Avevo comprato il Vermentino. Mi ero messa un vestito, avevo acceso delle candele profumate e lavato le tende. Certo che volevo mandare un messaggio a Vincenzo. Ma non era ti prego torna da me. Volevo dire guardami, sono caduta in piedi, ho una bella casa, bado a me stessa, cucino, so scegliere un vino. Guardami, sono felice. Come quando stavo con te, ma senza di te. Senza avere venticinque anni. Senza la libertà di sbagliare, ma con l’incombenza di fare i conti a fine mese e scendere a compromessi con quello che volevo essere e non sono diventata. Senza riuscire più a commuovermi leggendo una poesia. Invece Margherita guardava il mio dolce con aria sospettosa e io ero di nuovo consapevole della mia pelle rovinata, dei fianchi larghi, il freezer pieno di surgelati, il capo che mi chiede di stirargli le camicie, le copie di Internazionale accumulate sul davanzale ancora dentro il celofan. Vede, non la sapevo sul serio, la storia dell’allergia, prima di quella sera. Però sapevo di non averle sbucciate, le pesche, ma le ho detto lo stesso che lo avevo fatto. Credevo le sarebbe venuto uno sfogo, o qualcosa del genere. Magari la diarrea. Però ho giurato di dire tutta la verità eccetera eccetera quindi lo dico: quando ho visto quella scena che le raccontavo, lei che soffocava, lui nel panico, le sirene in lontananza, bè in quel momento mi sono accesa la sigaretta e mi sono sentita viva come quando ero io Margherita.

Un racconto di Sabrina Quaranta

Illustrazione di Marco Pellino

 

 

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