Grillone_Vianovi Narrandom Racconti

L’altra metà

Ma è marcia.

Non è marcia.

Il bambino allunga un dito verso la pera e ci preme sopra il polpastrello. Dove ha schiacciato rimane una fossetta. Hai visto?, dice alla nonna.

Guarda l’altro lato, dice la nonna.

Il bambino alza la pera per il picciolo e quello si stacca e gli rimane fra le dita, mentre la pera cade e fa un paio di giri sul marmo del tavolo. Il bambino mostra il picciolo alla nonna. Lei raccoglie la pera e la posa di fronte al nipote.

Dal lato giusto, guarda.

Che devo guardare?

Quello che hai davanti.

Una pera marcia.

Una pera buona.

Il bambino avvicina il volto alla pera, annusa.

È solo scura, è la buccia, ma è buona.

Se lo dici tu.

Sbucciala.

Non la mangio.

Non ti ho detto di mangiarla. Sbucciala.

Mi fa schifo.

La nonna sceglie un coltello fra le posate appena lavate, lo asciuga al grembiule e lo porge al nipote sopra un piatto bianco col bordo appena sbeccato.

Il bambino guarda la pera, il piatto, la nonna. La sbucci tu?, chiede.

La nonna siede vicino al nipote e si avvicina il piatto. Con un gesto preciso, taglia la pera a metà. Il rumore del coltello che tocca il piatto è l’unica deroga al silenzio della cucina, assieme al ticchettio dell’orologio appeso alla parete. Il bambino osserva le mani della nonna bagnarsi di succo. Vede la lama inserirsi sotto la buccia e scivolare lungo la curva del frutto. Inizia a sentirne il profumo.

La nonna spinge il piatto davanti al nipote. Metà della pera è a cubetti. L’altra mezza, più scura, è intera e spostata di lato, allontanata dalla metà buona.

Su, dice.

Il bambino posa l’indice su un cubetto. Solleva il dito e se lo porta davanti agli occhi. Osserva la superficie lucida del polpastrello: un cerchietto laccato dove il dito ha toccato la pera. Mette il dito in bocca, guarda la nonna e col dito in bocca sorride.

Te l’avevo detto, dice la nonna.

Il bambino alza il cubetto e lo fa sparire in bocca. È talmente piccolo che si scioglie sotto la poca pressione della lingua. Prende un altro cubetto che cade nel piatto.

Scivola, dice il bambino, e ride.

Perché è matura, c’è tanto succo, spiega la nonna. Osserva il nipote mangiare e poi guarda fuori. Il profilo delle fabbriche reso incerto dalla foschia, il fumo delle ciminiere a confondersi con le nuvole basse. Quella luce color tuorlo. Il mare, che non si vede, ma che lei sa dietro i palazzi.

Me ne dai un pezzetto?, chiede la nonna mentre guarda la finestra, e allunga il braccio verso il nipote senza aspettare la risposta.

Il bambino guarda il piatto. Ci sono rimasti solo due cubetti. Sta per prenderne uno ma poi sceglie l’altro, più grande, e lo posa sul palmo aperto della nonna.

La nonna mette in bocca il cubetto, poi si asciuga le mani al grembiule e chiude gli occhi. Sente diffondersi il sapore di pera matura sulla lingua.

Il vento, fuori, sembra muto.

Ti va di dirmi cos’è successo oggi?, chiede.

Il bambino sta per afferrare l’ultimo cubetto ma si ferma. Resta immobile per qualche ticchettio, poi abbassa lo sguardo e ritira entrambe le mani sulle cosce magre. Il suo respiro accelera, segue il ritmo più rapido dei battiti cardiaci.

Dai, dice la nonna.

Niente, risponde il nipote a voce bassa. Niente, ripete ancora, più piano, una seconda volta.

La nonna apre gli occhi e senza togliere lo sguardo dalla finestra posa una mano sulla spalla minuta del nipote. Gli accarezza la clavicola. Si sposta col pollice tra la sporgenza e l’incavo che l’osso crea.

Cos’è successo.

Il bambino prende fiato, inghiotte l’aria. Non risponde.

Su.

Mi prendono in giro, risponde in un sussurro.

Lo so. Ti sto chiedendo perché lo fanno. Perché lo hanno fatto oggi.

Il bambino abbassa ancora impercettibilmente la testa. La linea della spina dorsale forma un angolo retto con quella del collo, la fronte quasi tocca il bordo del piatto. La nonna si volta verso di lui, gli solleva il mento con l’indice piegato.

Sù con la testa, dice, stai dritto. E stempera l’imperativo con un’altra carezza. Non succede niente, dimmelo.

È una cosa brutta.

Non potrà esserlo così tanto. E vedrai che a dirla lo sembra meno.

Il bambino fissa il piatto. Guarda il cubetto, ultimo, nel bianco allagato di succo.

È per lo zaino?

No.

I capelli?

No.

Allora cosa?

È che… sei…

Io? È me che prendono in giro?

Un po’.

E cosa dicono?

Dicono che sei diversa dalle altre mamme.

Cioè?

Che sei…

Sono?

Vecchia.

Silenzio.

L’orologio, la finestra, la luce.

La nonna prende fiato.

Sono una nonna, non una mamma. Per forza sono diversa dalle altre mamme. Ci sono due mamme di distanza tra me e te, non una sola. Ho gli anni suoi, più i tuoi, e pure i miei prima di voi.

La nonna respira forte, copre i ticchettii dell’orologio.

Per questo all’uscita non mi hai salutata oggi e sei corso alla fermata?

Il bambino annuisce e gli occhi gli si fanno smaltati di lucido come il dito, prima, bagnato di succo.

Senti facciamo così. D’ora in avanti ti aspetto alla fermata prima. Tu sali sull’autobus da solo e alla seconda fermata ti affacci dalle porte, io sarò lì e quando ti vedo salgo su. Così veniamo a casa insieme ma in gran segreto. Che ne dici?

Il bambino guarda la nonna, si getta su di lei.

Piano che mi schiacci. Sono vecchia io, oh.

Ridono.

La nonna avverte il corpo esile di quella creatura, sente il respiro, il ritmo del cuore più rapido dei ticchettii dell’orologio, le ossa come potesse contarle. Stringe il nipote senza stringerlo, lo accoglie senza costringerlo. Lo tiene sperando che si stacchi lui.

Quando l’abbraccio si scioglie la nonna lo guarda. Gli porta quel ricciolo ramato dietro l’orecchio e lo sistema in modo che non torni avanti.

Finisci questa pera che tra un po’ è da buttare davvero, dice la nonna, mentre si alza e lancia uno sguardo alla foto di sua figlia, sbiadita, appesa alla parete accanto all’orologio. Poi si passa le mani sul grembiule.

Il bambino afferra l’ultimo cubetto. Sta per mangiarlo poi chiede: lo vuoi tu?

Vado a comprarne delle altre, dopo.

Allora il bambino si lancia il cubetto in bocca e con la lingua ispeziona gli angoli delle labbra in cerca di altro gusto.

La nonna prende il piatto e sta per gettare la metà di pera rimasta.

Aspetta, dice il bambino.

La nonna lo guarda.

Il succo. È la parte meglio.

La parte migliore, è vero, dice la nonna, guardando il nipote che beve il liquido direttamente dal bordo imperfetto del piatto.

Piano che mi fai le gocce in terra. Ora la possiamo buttare o vuoi pure questa alla fine?

No, quella è marcia.

E però com’era l’altra mezza?

Perfetta.

Sorridono, di due sorrisi diversi.

Te l’ho detto che era il fuori, dice la nonna.

Fa scivolare gli scarti nella pattumiera, solleva il piede dal pedale. Stumpf, si chiude il coperchio.

Era il fuori, ripete, era la buccia a fregarti.

Illustrazione di Elena Grillone

Martina Vianovi

Passati i trenta, al ritenersi una persona seria preferisce: annaffiare il basilico, fare bozzetti ad acquerello, girare in bici fino a perdersi, godersi l’odore delle quinte in teatro, fuggire verso il mare ogni volta che può, scrivere di notte. Cosa porteranno i prossimi trenta non sa, ma non vede l’ora di scoprirlo.

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