Incendio, Caruso per Vianovi

Di tutte le cose preferite

Olga è la più bella di tutte.
È una delle mie tre cose preferite. Ci sono anche Lucrezia e Gina e le altre, ma Olga è la più bella. Ha quegli occhi così tondi e tristi che quando l’accarezzo e ci guardiamo, anche il freddo dove siamo non fa più così freddo. Mi piace stare con lei, l’abbraccio e me la bacio
tutta e lei fa i versetti strani e allora io divento subito allegro.

La mia seconda cosa preferita è il fuoco. Mi scalda le mani quando non le sento più perché a spalare il fieno fanno male anche se porti i guanti di lana buona. Accendo il fuoco, fallo piccolo il fuoco! grida sempre nonna, che se poi io mi distraggo, dice, subito diventa grande
e dopo ci facciamo male tutti. Io non lo so come può fare male una cosa tanto bella, ma nonna è vecchia e sa le cose che io non so anche se ormai sono grande, allora prendo il coperchio di ferro del bidone, lo giro, e ci faccio dentro il fuoco ma piccolo, che mi ci scaldo le mani quando ho finito di pulire la stalla. Controllo che le fiamme sono abbastanza alte ma non troppo, poi prendo Olga e me la porto vicina. Io sto seduto o sdraiato e lei sta in piedi. Ci guardiamo la luce insieme e io penso che il fuoco è bello perché si muove strano. Come un animale si muove, un animale vivo, anche se non è vivo il fuoco, così dice nonna, ma c’è da fare attenzione lo stesso. E però è più forte la voglia di guardarlo e di sentirmi la faccia e il naso caldi invece che fare attenzione e avere freddo.

Le altre pecore sono gelose di Olga, credo, ma non è colpa sua se lei è la più bella del gregge. E per questo l’ho chiamata Olga, perché mi fa pensare all’Olga quella vera. Che è la mia terza cosa preferita di tutte, ma un po’ più preferita delle altre.

Non c’è una sola cosa di Olga vera che non mi piace, e penso che se ero io a doverla fare da principio, tipo se ero Dio, la facevo proprio uguale a come l’ha fatta lui. Me la guardo in paese Olga, e qualche volta ci parliamo. È più lei a parlare che io, e ride con le amiche e non capisco sempre bene cosa dice, ma è così bella quando ride che se per farla ridere io non devo capire nulla allora va bene che non capisco nulla. Non sono allegro quando Olga ride ma sono felice. Che è più di allegro. Almeno credo. Quando nonna mi manda alla bottega a comprare le cose che servono, faccio sempre finta di dimenticarmene qualcuna e così posso tornare indietro e avere più tempo vicino a Olga, anche se poi tutti mi dicono scemo, sei uno scemo, ecco lo scemo, c’è lo scemo, ma loro non lo sanno che io lo faccio apposta per vedere più tempo Olga. Milio, Milio!, mi chiama lei da lontano, e ride e mi chiama ancora. Poi dice le cose alle sue amiche e io la guardo e mi sento come camminare sulle nuvole morbide.

Olga e Milio. Come sono bellissimi i nostri nomi insieme. Io ventidue anni fa quando sono nato mi dovevo chiamare Emilio, ma quello che per la prima volta ha scritto il nome s’è sbagliato, dice, e non ha messo sul registro dei nomi la “e” e allora io mi chiamo solo Milio senza l’inizio giusto. Nonna dice che se anche l’ha voluto il caso questo nome monco, così dice, invece è perfetto perché insieme al nome anche con me è uscito qualcosa di sbagliato. Non è proprio così forse, ma io quella parte non la capisco mai. Forse non la capisco perché non l’ascolto più nonna quando inizia a dire questa cosa.

E poi comunque non importa come dovevo chiamarmi quando sono nato perché tanto ora sono morto. Ma anche questo non importa perché quando sono morto ero felice. Non ero per niente morto quel giorno che sono morto, ero vivo e ero felice e c’era Olga con me quindi non potevo morire meglio.

Sto dentro alla stalla, mentre l’aspetto. Ha detto che mi viene a trovare oggi, e mi sembra impossibile che è vero ma da quando me l’ha detto non ho respirato più. Ho fatto sì con la testa e sono scappato via con le uova in mano. Due si sono rotte. Adesso conto i fili del fieno perché le pecore è inutile che le conto perché tanto sono poche, mentre il fieno è molto e i pezzettini sono gialli e lucidi, e così cerco di stare calmo, e un po’ sono morbidi un po’ pungono, e uno e due e tre e venti e cinquanta e seicento e millequattrocentoventisette e novemilaottocentodue e quattordicimilanovecentoventotto e trentamilasettecentonovantotto e eccola Olga che entra nel fienile e mi viene vicino, così vicino che non è mai stata tanto profumata di fiori, anche se non so di quali.

Sorride più di sempre e parla a voce bassa. Mi piace tutti i giorni la voce di Olga ma così dentro la stalla me la sento proprio bene, e c’è umido e c’è il suo respiro caldo e lei dice le sue cose che non le capisco tutte e a un certo punto fammi vedere dice, e c’è silenzio perché io sto zitto, che non l’ho capito quello che vuole vedere, allora lei prende la mia camicia, stringe il cotone nel pugno e tira tutto il mio corpo verso di lei e ora si toccano le nostre gambe e la pelle mentre Olga posa l’altra mano sulla stoffa ruvida dei calzoni, la posa piano prima, piano piano e mi accarezza, e poi sposta la stoffa, lenta lenta, la tira giù e mi guarda, guarda la parte di me che mi fa male da quando m’ha detto ti vengo a trovare oggi, e mentre mi guarda e io guardo la sua bocca, la sua bocca aperta e bella, quel duro di me
torna tutto morbido, mentre sorride Olga e poi ride, com’è bella quando ride, così tanto e così forte ride adesso che non capisco perché ride così tanto e così forte ma è bella da morire e poi dice lo sapevo e ridendo mi spinge via ma non lo so perché mi spinge e lo sapevo che non servivi neanche a questo dice e io non lo capisco a che cosa non servivo ma non mi piace questa cosa che m’ha detto Olga perché gli oggetti servono e io non sono un oggetto credo no non lo sono perché non sono una cesta o un rastrello o un pollaio e mi sembra cattivo questo che m’ha detto Olga e se la guardo adesso mi sembra meno bella quasi brutta ora Olga che continua a ridere sguaiata e ride e ride e ride e io non lo capisco perché ride così forte che mi fa male la testa male gli occhi male la pancia male la felicità e vorrei che Olga torna subito a essere quella cosa bella di prima che era la mia preferita tra le cose preferite e invece non lo è più ora e cosa posso farci io non posso farci niente se Olga è una cosa brutta adesso tanto brutta che mi fa male tutto deve smettere di farmi male forte deve smettere di essere una cosa brutta Olga e per farla smettere posso solo fare forse che la metto dentro la mia seconda cosa preferita per renderla di nuovo bella e allora sollevo Olga da terra con le braccia e tutte le mie forze e cammino dentro la stalla e quasi cado perché inciampo nei pantaloni alle caviglie ma poi invece non inciampo e mi avvicino alle pecore e la lascio cadere Olga in mezzo alle pecore con un tonfo forte e brutto e chiudo la porta di legno la chiudo bene e la sbatto per non sentirla ridere e la sento ancora ma non ride adesso sta in silenzio e poi grida come gridano le bestie insieme a lei e allora finalmente butto un po’ di fieno sopra il fuoco piccolo fallo piccolo il fuoco! che subito diventa grande proprio come diceva nonna e più fieno e più grande e più fieno e più grande diventa il fuoco e torno a respirare allora, posso essere felice di nuovo adesso perché Olga non la vedo più ma solo il fuoco bellissimo che se la prende e che la fa di nuovo cosa bella e io respiro respiro respiro respiro respiro finalmente respiro mentre guardo il fuoco enorme che si prende poi la stalla tutta con me pure dentro mentre ingoio il fumo nero con gli occhi chiusi finché non mi addormento, così, disteso in terra che rido senza pantaloni.

Chissà com’era bello il fuoco grandissimo da fuori, che magari arriva alto fino al tetto della casa di nonna o al cielo o alle nuvole di nuovo morbide e io lo sapevo che forse era proprio quello la mia cosa preferita tra tutte le cose preferite.

Illustrazione di Maria Caruso

Martina Vianovi

Passati i trenta, al ritenersi una persona seria preferisce: annaffiare il basilico, fare bozzetti ad acquerello, girare in bici fino a perdersi, godersi l’odore delle quinte in teatro, fuggire verso il mare ogni volta che può, scrivere di notte. Cosa porteranno i prossimi trenta non sa, ma non vede l’ora di scoprirlo.

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