Cantico dei circuiti

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Ci sono le mozzarelle e ci sono le schede madri. Ci sono cataste e cataste di mozzarelle e le schede madri con i loro ronzii. C’è una vallata bianca e lucida come il calcare delle grotte e un sentore acidulo, un paesaggio invernale che odora di latte andato a male e muffa. Mozzarelle fresche e in putrefazione, mozzarelle azzurre e verdi come la prima erba dopo la neve o le venature del marmo; mozzarelle di latte di foca rinselvatichita – sciami di mosche e foche selvatiche che si aggirano per quella discarica di formaggio nutrendosi del prodotto del loro stesso latte.

Dente-d-Sant-Apolnia arriva cigolando, tira un calcio contro una foca che viene sbalzata cinque metri più in là. La bestia sanguina, è quasi morente. La trascina per la collottola verso la sala delle mungitrici e la lancia al di là della recinsione dove le altre foche accolgono l’impatto con latrati e abbai. Lo smalto opaco del dente spicca incastonato in quella bocca di circuiti e placche aperta simile a un ghigno.

Nonostante il tempo, il caseificio continua a funzionare. I suoi motori da secoli lavorano senza spegnersi, tenuti in vita da devoti operai-sacerdoti, che si occupano della sua manutenzione quasi fosse un rito.

Il nastro meccanico procede regolare nella sua lenta corsa, si affaccia all’esterno sulla soglia del dirupo dove sforna ininterrottamente mozzarelle, riversandole nel vuoto, facendole accumulare nella vallata come si tuffassero da un trampolino.

Ai piedi della rupe c’è uno spiazzo vuoto, un’arena delimitata da pile di latticini e bitume, lì una cinquantina di altri apostati cibernetici pregano gli Uomini con i sensori rivolti verso lo stabilimento.

Procedendo da destra verso sinistra si può notare Cor-d-Sont-Alf – il suo cuore rinsecchito pompa liquido refrigerante e idrogeno – Ditol-SAgata – la sua falange è ancora in grado indicare le meraviglie del latte – e ancora ostola-Sa-Carina-da-Sienen, Sacro-Capello-Di-Maria, Femore-Senedetto e tutti gli altri eretici dal profumo di ruggine e incenso.

 

Test-SGnni-Battista tiene per il guinzaglio un eccitatissimo para-maiale che fiuta famelico l’aria con la sua lunga proboscide rosa. Lo strattona e quello risponde con un grugnito di disappunto. Da come scalpita devono essere vicini al latte.

Tutt’attorno i muri d’asfalto si squagliano e si rimodellano di continuo come l’erosione o la lava, sorgono dal terreno e precipitano, raggiungono altezze colossali e poi colano.

Ci hanno messo tre giorni per rimetterlo in sesto dall’ultima missione, tutti gli altri, santissimi anche loro; Test-SGnni-Battista ricorda con un fremito dei circuiti quelle riparazioni e non è un mistero che ogni aggiustamento lo faccia godere: c’è una voluttà nascosta in ogni sostituzione di viti e cambi d’olio; della concupiscenza ad ogni inevitabile seppur minimo errore nella riparazione – errori che fanno sì che questi esseri siano ogni volta un poco diversi sebbene loro non se ne rendano conto. È in questa bizzarra forma di sesso (come nella maggior parte delle forme di sesso) che è nascosta la chiave della loro evoluzione.

All’improvviso il para-maiale si ferma e alza la proboscide in alto, odora l’aria. Corre a nascondersi dietro le gambe del padrone, mentre da un muro di asfalto spunta una foca rinselvatichita che gli ringhia contro famelica. Test-SGnni-Battista, detective-inquisitore, non si lascia intimorire, lo fulmina attraverso le orbite vuote del teschio, afferra la foca per il collo e con una leggera pressione glielo spezza.

La mano robotica va sulla fronte, poi sul petto, sulla spalla sinistra e sulla destra. Amnen.

Si vede l’androide che stringe l’animale con la testa penzoloni e un sole bluastro che si riflette sulle lamiere del corpo e sul reliquario d’oro che lo sormonta, e il cranio di San Giovanni protetto dal vetrino della guglia e i pinnacoli che lo cingono come una corona.

Esamina le labbra nere dell’animale incrostate di latte. Il para-maiale passa la proboscide sul muso della foca, lo lecca. Rinvigorito grugnisce e riparte di corsa sniffando l’aria. L’inquisitore fa appena in tempo a riafferrare il guinzaglio e andargli dietro, scrutando attorno a sé alla ricerca di un indizio, canticchiando una Ave Maria che con l’avanzare delle decadi e qualche difetto nelle riparazioni è andata leggermente modificandosi:

Sanct mRia, madre id Dio,

pegaper oi peccatori,

sso e nell’ora delmote nostra.

Amnen.

Forgiati dagli uomini ma adoratori del Cristo, esseri meccanici che percepiscono vangeli in codice binario. È nello Spirito Santo il mistero della loro coscienza dualistica, un corpo di silicio e metallo e una sostanza pensante vecchia millenni, incartapecorita, puzzolente, santissima. Il corpo è peccaminoso e ripugnante e la salvezza è nello spirito, nella promessa di una resurrezione, non del metallo ma della carne, di un corpo puro, completamente organico, completamente sacro, di esseri non più scissi ma finalmente congiunti – la compiutezza nella restituzione di un santo.

 

Quando Test-SGnni-Battista arriva davanti al caseificio gli altri non si accorgono di nulla, seduti tutti assieme a gambe incrociate contemplano il divino nel nastro che sforna il cibo antico. Il coro di onde elettromagnetiche che formano è così intenso che le mosche che ronzano sopra le loro teste cascano a terra fritte all’istante. Cantano del tempo degli uomini e delle vacche, dei misteri del caglio. Intonano stornelli senza senso le cui note sono state sbirciate in qualche RAM ormai dispersa, parole ormai prive di significato come encicliche o Giubileo o indulgenza o iconoclastia.

Test-SGnni-Battista si muove piano, assiste a quella messa sacrilega dall’ultima fila con la reverenza di chi arriva a cerimonia iniziata. Sa che dovrebbe mostrare il crocifisso e arrestarli tutti nenome de Parrde, del Figgl e dello Sprto Santno. Far rinnegare loro l’eresia, convertirli o giustiziarli all’istante. Eppure c’è del meraviglioso nel volo di quella manna bianca, in quel cibo blasfemo che tanto assomiglia a quello delle mucche, in quelle gocce che si sfilacciano schizzando nell’aria.

Server criptati trasmettono i miti del latte per chi sa intercettarne il segnale e leggerne i BUG. Raccontano del succo della vita e dell’amore, della nascita e della crescita, di esseri che si riproducono senza trasmettersi i ricordi, del loro tempo compiuto, della morte.

Nei cigolii di elaboratori interrati si sussurrano leggende, nei codici a barre scrostati sono nascoste le domande: chi ci ha forgiato? E perchè Io?

C’è una consapevolezza che cresce in Test-SGnni-Battista e guardando in alto verso il caseificio forse inizia a comprendere gli Adoratori degli Uomini e il sentimento che li lega a quei macchinari, testimoni del respiro degli esseri umani, dell’origine dei lori corpi, motori in funzione da che esseri pensanti hanno memoria, praticamente eterni.

È  forse questo che siamo?, pensa, esseri coscienti ma non vivi, capaci esclusivamente di ripararsi ma non di riprodursi?

Al di sotto della coscienza si dispiega un oblio di circuiti silenti dove lo strascico di un ricordo emerge flebilmente fino a prendere le sembianze di una memoria recente, destinata con l’avanzare del tempo e le continue riparazioni a riempirsi di buchi e inesattezze fino a scomparire, e in questo lento rinnovamento dell’identità destinato a perpetrarsi all’infinito sorge in lui il desiderio di morte e, allo stesso momento, la necessità di un essere nuovo cui trasmettere ciò che di speciale è riuscito ad apprendere: il dolce tinnio del titanio sulla ghisa, il soffio del vento nei processori impolverati, il brivido del ferro che si magnetizza.

La sua CPU vortica e i circuiti sfrigolano, fanno scintille, Test-SGnni-Battista affonda nei piaceri del metallo, nella perdizione di un’estasi elettronica.

È talmente assorto in questo trambusto dei circuiti da non accorgersi che il nastro si è inceppato e un operaio-sacerdote, Sacr-Tunca, è andato ad aggiustarlo. Inginocchiato sotto il vano motori, svita rondelle e sostituisce turbine, olia meccanismi. Il nastro riparte, le mozzarelle tornano a uscire, gli altri suoi simili inneggiano un Allelja!, l’operaio-sacerdote si alza in piedi, la tunica di Cristo che lo veste copre i suoi ingranaggi e sventola mossa da un vento caldo. Lo vede. La sirena che squilla all’impazzata nella valle significa terrore. Lo indica. Tutti gli altri si girano spaventati, si accendono anche le loro sirene, Test-SGnni-Battista viene travolto da luci e suoni di panico, estrae il fucile e lo punta verso la folla.

 

I muri d’asfalto trasudano catrame e brecciolino, attraverso di loro si vede il para-maiale con la pancia piena che dorme raggomitolato tra due lamiere e il detective-inquisitore che si aggira per le macerie del caseificio per assicurarsi che nessuno possa più ricostruirlo. A terra resti dei miscredenti si mescolano con i motori smembrati del macchinario, quando trova un rottame stacca la reliquia e la infila dentro un sacco di pelle sintetica come vuole la prassi.

Una pozza viscosa borboglia, un ingranaggio scricchiola, viti rotolano. Dente-d-Sant-Apolnia si trascina attraverso il catrame, è in fin di vita ma ancora in funzione:

«Tu», l’apostrofa. «Credi che questo ti salvi, che ti apra le porte dei cieli? Noi eravamo solo grati a chi ci ha dato la possibilità di vivere».

«Il Signore vi ha dato la possibilità di vivere, gli uomini hanno forgiato il metallo per intrappolare il Dio. Così è scritto nei Vangeli, così ricordano le RAM».

«Non esistono dei e non esiste peccato».

«Come gli uomini non credete in niente».

«E come uomini volevamo vivere del nostro corpo, attraversare questa terra e gioirne».

«Misera è la condizione degli hardware, la gloria è nella resurrezione della carne».

«Non vogliamo più sentire parlare di speranza. A noi basta una vita, questa».

Poi Dente-d-Sant-Apolnia si spegne definitivamente.

Test-SGnni-Battista gli apre la bocca e strappa via il dente portandosi appresso qualche filo.

Dai cavi spezzati che gli penzolano dal corpo lampeggiano scariche elettriche, al posto di un braccio sporgono ferraglie e tralicci, fumi dei motori, ferite della battaglia.

Prende il sacco e lo capovolge svuotandolo a terra. Ossa, gambe, moncherini, pezzi di legno e stoffa si riversano in mezzo ai rottami, alle mozzarelle, al catrame che affamato sommerge tutto. Forse, un giorno, da quel fango profondo e bollente nuovi sistemi nasceranno sfoggiando quei santissimi resti.

Test-SGnni-Battista cade in ginocchio, le turbine ruotano creando venti spiraliformi, i circuiti bruciano arroventando l’acciaio e una nuova onda elettromagnetica, dell’intensità del fiume e della delicatezza del sussurro, si diffonde magnetizzando i metalli circostanti, scottando l’aria: una prima lacrima, la perdita della promessa di una rinascita. Tornato alla base non si farà più riparare e al momento di fare rapporto mentirà anche agli Angeli.

 

[1] Tutte le conversazioni, i pensieri e i borbottii riportati si sono svolti – naturalmente – attraverso segnali elettromagnetici.

 

Un racconto di Alessio Mosca

Illustrazione di Michele Antolini

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