Culto

“Viva la malattia! Viva la malattia! Ringraziatela, la malattia!”
La malattia correva per le strade, su gambe invisibili, per piste intangibili, e mieteva vittime, entusiastiche vittime, agli angoli dei marciapiedi, e nelle case, e nelle scuole, e negli uffici. La malattia era qualcosa di amorfo, qualcosa di scuro e sfuggente, ti entrava in casa, ti entrava nel corpo, ti entrava nella mente.
“Ringraziatela sì, la malattia! Che senza febbre non si spurgano i germi!”
I Pestilenziali Seguaci litaniavano sermoni e ovazioni in piedi, tra pile di persone putrescenti, accasciate alcune ancora vive, altre inermi. Le loro urla erano così squillanti, le loro parole talmente isteriche, che Ermes poteva sentirle con chiarezza anche diversi metri sotto terra, attraverso il condotto di ventilazione.
L’aria filtrata impediva alla malattia e alla puzza dei cadaveri di farsi strada nel bunker, ma Ermes quell’odore se lo era portato dentro le narici come in uno scrigno, un macabro memento e monito del flagello che stava infuriando per le città del mondo.

Provava a ricordare i giorni prima, anche una sola settimana, ma l’immensità di ciò che colpiva era così grande da colorare i ricordi più vividi delle tinte porpora della malattia. Ermes si sentiva come se la malattia avesse sempre fatto parte di lui, degli uomini, del mondo. Come se non ci fosse mai stato altro oltre la malattia, e sapeva bene che questo non era vero, ma proprio non ricordava altro.
Provò a pensare a Jennifer, a disegnarla con la fantasia, ma quando la matita gli scendeva per la piega dello zigomo a ridosso dell’occhio verde, eccola prendere colori violacei e farsi liquida, pastosa. Jennifer gli sorride, piagata, nel buio.
Ora starà vagando per le strade: non è possibile che lei sia entrata in uno dei bunker. Lei faceva parte della comune cittadinanza, nessuno le avrebbe mai accordato un posto all’interno dei bunker. Forse vendendosi a qualche ufficiale sporco e laido, ma anche quello sembrava improbabile, perché le condotte sessuali libertine sono fonte di malattie e i bunker dovevano rimanere sani. No, Jennifer è fuori, da qualche parte, forse nella pila di corpi sopra il pertugio metallico di Ermes, dove i Seguaci cantano le loro ultime lodi, con gli occhi lucidi di furore e fluidi infetti.

Ermes piangeva, aveva detto a suo padre che lo odiava, che odiava il culto, che odiava se stesso. Si prese a pugni in faccia, sulle tempie sulla fronte sulla bocca, ascoltando le urla degli infetti e i canti dei Seguaci farsi flebili. Poi impercettibili. Poi niente ed Ermes si ascoltò piangere, da solo, al buio.
Presto, non sarebbe rimasto nessuno. Ermes si calmò, si mise in ascolto, anche solo cogliere qualche ultimo respiro… ma niente. Silenzio.

Ermes ridiscese dal condotto. Camminò nei cunicoli silenziosi del bunker. La malattia ci avrebbe messo due anni a sparire del tutto. Solo il cinque percento della popolazione mondiale sarebbe sopravvissuto. Lui faceva parte di quel cinque.
Sopra di lui era tutto morto. La vita era lì. E tra un anno, avrebbero potuto ricominciare. Quell’anno di pestilenza sarebbe stato insieme il loro battesimo e la loro purificazione.
Ermes aprì lentamente la porta del Tempio Centrale: lo avrebbero sgridato se si fosse perso la funzione. La sala era già piena, tutti avevano preso posto sulle panche di acciaio e sedevano con aria serena nell’enorme struttura dura e fredda come la loro fede, come i bracci metallici della molecola che faceva loro da simbolo, in alto sopra gli altari.

Ermes si sedette, in prima fila. Suo padre incontrò il suo sguardo, da dietro l’altare. Allargando le braccia, diede inizio all’anno di clausura dei Figli della Malattia.
“Quietatevi. E sentite” disse portando l’indice all’orecchio. “Silenzio” disse estasiato.
Ermes soffoco un singhiozzo e deglutì un nodo in gola.
“Per un anno, sarà solo silenzio. E quando torneremo lassù, sarà tutto nuovo. Sarà un mondo da ricostruire. Sarà il nostro mondo! Ma per ora… silenzio.”
Ermes lasciò che tutto scivolasse dentro di lui: il nodo, il pianto, le grida…
Non voleva più pensarci. Non voleva più sentirlo.
Tutto ciò che voleva era il silenzio.

Illustrazione di Marco Pellino

Guido Zanetti

Guido nasce a Genova nel 1992. Cresce a Pavia, dove studia filosofia per tre anni e tre quarti. Corre a Torino, dove studia sceneggiatura alla Scuola Holden.

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