Verin_Francesco Dragone_ Narrandom blog di racconti

Il coinquilino e la merda

Le parole che Osvaldo pronunciava attraversavano la testa di Michele senza lasciare alcuna traccia, solo la voce di quell’omuncolo basso e rinsecchito lo infastidiva. “Lasci sempre i piatti sporchi in giro. Non butti mai l’immondizia. I tuoi vestiti rimangono per giorni dentro la lavatrice che poi puzza da fare schifo. Fai tutto il porcile che vuoi in camera tua, ma non nel resto della casa, è una questione di rispetto”. Frasi che gli scivolavano addosso mentre cercava nel frigo qualche lattina di birra ancora mezza piena. Quando la trovò si diresse verso camera sua, chiudendo la porta in faccia a Osvaldo che ancora sbraitava lamentele insulse dall’interno del suo completo camicia&golfino, e mentre si gettava sulla massa informe di vestiti che ricopriva il letto, lo sentì allontanarsi.

Quando più tardi Michele tornò in cucina a prendere un’altra birra sentì la voce di Osvaldo parlare istericamente al telefono. “Non ce la faccio più, ma come fa? Se continua così dovrò farlo cacciare dalla padrona di casa. Non si può fare altro, o io o lui” – e rientrò in camera con un ghigno stampato in faccia e un pensiero per la testa.

 

Il giorno dopo Michele si fece trovare seduto sul tavolo della cucina, in mutande, con tutto il resto della stanza invaso da farina, uova, cacao, come se un tornado fosse uscito dalla dispensa.

“Ti ho preparato un dolce al cioccolato per farmi perdonare, prometto che d’ora in poi mi comporterò meglio!”, disse al suo coinquilino e rimase lì a sbrodolarsi con il latte, mentre Osvaldo rinunciava ad articolare frasi di senso compiuto, anche a causa di una vena che gli s’ingrossava sul collo annodandogli la gola. Alla fine se ne andò dalla cucina, riuscendo a malapena a sibilare la parola “Porco!”. E questo non era che il preludio di una settimana programmata scrupolosamente da Michele per salutare in grande stile il suo amato coinquilino.

Nei giorni successivi pulì il bagno con le tende della cucina, usò l’aspirapolvere svuotando il sacchetto nel bidet, passò la candeggina nel ripostiglio senza risciacquare, lavò la tappezzeria nella lavastoviglie e le pentole nel gabinetto, si offrì anche di sistemare la stanza al suo coinquilino (proposta che Osvaldo rifiutò con ben poca gentilezza mettendo il chiavistello alla sua porta). Osvaldo non ci provava neanche più a combattere contro tutto quel casino, preferendo una disonorevole sconfitta all’insano sforzo di dargli corda. Michele invece osservava con gusto la vena sul collo del coinquilino diventare sempre più grossa e livida a ogni turno delle pulizie, fino a quando non cominciò a pulsare in maniera irregolare. E questo gli fece capire che era il momento giusto per “farla grossa”.

 

Una mattina Osvaldo, ormai terrorizzato all’idea di avventurarsi fuori dalla sua camera, uscì per fare colazione sicuro di trovare l’inferno, ma si allarmò nell’attraversare un corridoio sorprendentemente sgombro. Entrò in cucina e la trovò inalterata, mangiò su un tavolo moderatamente pulito, bevendo da una tazza dall’aspetto igienico e spalmando la marmellata con un coltello libero da incrostazioni, il tutto in un odore assolutamente neutro. Sbigottito Osvaldo pensò che quella follia era finita, che quel matto del suo coinquilino aveva sfogato la sua indole insalubre una volta per tutte. Dopodiché, contento e rincuorato, sciacquò le stoviglie nel lavandino e sorrise nel vedere che l’acqua andava giù senza ingorghi né reflussi. Infine si diresse in bagno per lavarsi i denti, e quando aprì la porta ogni sua speranza s’infranse.

“Non si bussa prima di entrare?”, lo apostrofò Michele seduto con le brache calate sulla lavatrice aperta. “Scusa ma adesso vorrei la mia praivasi!”. Osvaldo non era mai stato un campione nel mantenere la calma, eppure, con tranquillità e lentezza, richiuse gentilmente la porta mormorando “scusa”. Michele, molto soddisfatto di come “l’aveva fatta grossa”, si pulì con la carta igienica, la gettò nella lavatrice e si rialzò i pantaloni abbassando lo sportello, domandandosi se avesse senso avviarla. “Boh, ci penserò dopo”, e uscì di casa tronfio.

 

Michele non fu sorpreso quando, al suo rientro, trovò la camera di Osvaldo completamente vuota, né quando vide che la casa era stata lavata da cima a fondo, anche la cacca dalla lavatrice era sparita. “Evidentemente l’omuncolo non è riuscito a trattenersi e ha fatto il bravo ragazzo”.

Ma rimase atterrito nel trovare pulita anche camera sua, era tutto in ordine, eppure c’era un tanfo terribile. Michele non riuscì a capire il senso di quel gesto fino a quando non aprì il suo armadio: i vestiti, le lenzuola, le scarpe e la biancheria erano stati lavati di fresco e ripiegati ordinatamente e tutto gli fu chiaro quando si mise ad annusarli. “Quella piccola merda alla fine si è fatta rispettare”. E così si ritrovò a dover pulire a mano ogni singolo capo di abbigliamento intriso dell’odore della sua merda, qualcosa di nauseabondo, eppure non riusciva a non sorridere al pensiero di Osvaldo che superava ogni suo istinto pur di compiere la sua vendetta.

Alla fine stese i panni umidi in ogni angolo della casa e si andò a buttare sul letto, stanco morto. Ma si dovette rialzare subito, scosso com’era dai conati di vomito.

“E no, ANCHE IL LETTO NO!”.

 

 

Un racconto di Francesco Dragone

Illustrazione di Verin

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