Aria di casa

Due uomini in età avanzata, di nome Berni e Toni, siedono in terrazzo. Fumano e sorseggiano vino rosso. Berni, asciutto e nerboruto, guarda in alto, muovendo la testa qua e là, come stesse a contare le stelle. Toni, un omone rosso e panciuto, tiene gli occhi bassi, fissi all’orizzonte, oltre le colline blu. Berni fuma nervosamente, battendo a terra col piede. Toni, spaparanzato a gambe larghe, lascia quasi che la sigaretta si fumi da sé. Mentre Berni prende delle minuscole, frequenti sorsate dal calice, Toni, ogni quattro o cinque minuti, spalanca le fauci e svuota il bicchiere, abbozzando un’espressione godereccia.

“Comunque, mica si sta male qui” esordisce Berni.

“No, dai” grugnisce Toni. “Certo, dentro casa si stava meglio”

“Eh, ma guarda che l’arietta come questa non ha prezzo”

“Nemmeno il mio mal d’ossa…”

“Hai il mal d’ossa?”

“Ma che ne so”.

Ridono e brindano. Si riempiono i calici.

Toni, fattosi improvvisamente serio, domanda: “Lo sai quel è la cosa che mi fa incazzare?”

“Quale?”

“Che devo stare qui perché me lo ha detto mia figlia. Non vuole che si fumi dentro casa, dice che fa male ai bambini.” Prende una lunga boccata dalla sigaretta. “Mia figlia che mi dice che devo fare, cazzo. In casa mia, poi.”

“Cerca di capirla” fa Berni con voce bonaria. “Vuole solo il bene dei suoi figli, in fondo. È una brava donna.”

“Sì. Brava donna.” mormora. “E una gran scassa palle, come sua madre.”

Ridono, brindano e, di nuovo, si riempiono i calici.

“Non starei troppo a fare il difficile, se fossi in te,” dice Berni. “Almeno tua figlia ha dei figli, un lavoro…”

“Un ex marito che non paga gli alimenti.”

“Be’, ha un ex marito. È stata sposata per quanto, diciassette anni?”

“Dodici.”

“Dodici anni non sono pochi, di questi tempi.” Sorseggia vino, amareggiato. “Sai quand’è stata l’ultima volta che ho visto mio figlio in piedi prima di mezzogiorno?”

“No.”

Beve, tutto d’un fiato, ma con eleganza, lasciando che il vino scorra fra le labbra socchiuse. “Nemmeno io. È terribile da dire, ma credo di non aver fatto un gran lavoro, con lui.”

Toni, afferrata la bottiglia, si avvicina al compare, gli poggia la manona sulla spalla, gli rimbocca il bicchiere e dice: “Nessuno fa un gran lavoro, no? Saremmo tutti dei pessimi padri, se ci mettessero alla gogna. Devi considerare.”

Si interrompe. Le parole gli si strozzano in gola, quando s’accorge che il compare ha gl’occhi lucidi. “Sai, abbiamo dovuto vendere la casa del mare,” balbetta Berni con voce rotta. “Ci ero affezionato a quella casa, ma l’abbiamo dovuta vendere perché la mia pensione non ci bastava a tutti e tre.”

Tacciono, per qualche secondo.

“Ci ero affezionato, a quella casa,” ripete Berni.

“Lo so.”

“Ti ricordi la prima volta che ci siamo stati per le vacanze?”

“Non potrei scordarmelo nemmeno se volessi. La sera di ferragosto eravamo quasi…quasi trenta, se non ricordo male.”

“Trentuno. Se conti anche quelli del paese, che hanno dormito in camper, trentasei.”

“La mattina mi sono svegliato abbracciato a una bottiglia di Vecchia Romagna. Con Lola che mi prendeva a botte con un mestolo da cucina.”

“Lola? Chi è Lola?”

“La mia ragazzetta dell’epoca.”

“Quella con il culo a mandolino?”

“No, quella che beveva anche più di me.”

“Ah, Lola! Me la ricordo, me la ricordo…scusa, ma se beveva più di te, perché ti prendeva a botte con il mestolo?”

“Che domande? Perché era sbronza.”

Ridono, brindano e si riempiono i calici. La bottiglia finisce. Dall’interno una voce di donna grida: “Tra due minuti è pronto!”

“Tempismo perfetto,” ghigna il secondo.

“Come sempre,” dice il primo.

“Sai cosa m’è rivenuto in mente?”

“Cosa?”

“La grigliata della sera prima.”

“Ah, magia. Quella è stata una magia. Ecco una delle poche cose che preferirei a quest’arietta di campagna. L’odore della brace. Io ci vado matto, per l’odore della brace. Matto.”

“Sai, dovrei avere un grill da qualche parte.”

“L’odore della brace e un bel bicchiere di birra scura.”

“Non ricordo se l’ho messo in cantina.”

Un coro di marmocchi irrompe alle loro spalle: “Nonno! Zio! La mamma e la zia dicono che se non entrate subito poi si fredda!”

“Peccato che certe cose uno le capisce dopo. Si fa presto a diventare saggi, a questa età.”

“Mi sa che sta dietro un telone da campeggio in garage.”

“Il tempo è tiranno, non c’è che dire. Tiranno e meschino, su questo siamo d’accordo.”

“Cazzo, non mi riesce mai di trovare niente quando serve.”

“Sai qual è un fatto buffo, davvero buffo? Che la camicia che avevo quella sera l’ho buttata, perché puzzava di brace.”

“L’altro giorno volevo una caramella, e le caramelle sono sempre state nella bomboniera del salotto. Allora l’ho aperta e che c’era dentro?”

Il primo sembra svegliarsi da un lungo sonno, alla domanda del compare. Si stropiccia la faccia e fa: “Cosa?”

La finestra, socchiusa, si spalanca di colpo: “Venite o mangiate qui?”

I due brindando, svuotano i calici e si tirano in piedi.

“Comunque,” fa il secondo “scommetto che se quel grill è dove dico io, funziona ancora.”

“Vorrei tanto aver conservato quella camicia,” dice il primo.

Entrano in casa.

 

Un racconto di Massimiliano Maggi

Illustrazione di Federica Consogno

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