Se un giorno cadi di faccia

Federico “Bood” Sorel finì in galera la prima volta per puro caso.

Un tale, Federico Sorelli di Cassino, aveva truffato centinaia di persone su Internet.

Sulle pratiche d’arresto caddero due gocce di caffè che coprirono le ultime due lettere del cognome, così al momento della digitalizzazione dei dati un impiegato scrisse: “Sorel”.

Per questo scambio di persona si fece due anni di carcere.

La seconda volta, Sorel fu arrestato giustamente, ma in maniera ancora più rocambolesca.

Federico “Bood” Sorel avrebbe dovuto prendere un treno, era in ritardo, corse come non mai, ma una volta arrivato alla stazione inciampò sui gradini e rovinò a terra. Una ragazza, approfittando della situazione, rubò la sua valigia e scappò via. Sorel la guardò impotente fuggire.

Nella sala d’aspetto dell’ospedale, venne a sapere dalla tv che il treno che avrebbe dovuto prendere era deragliato: settantasei morti.

La ragazza portò la valigia di Sorel, senza nemmeno guardarne il contenuto, al commissariato più vicino. Disse d’essersi insospettita, d’averla trovata alla stazione, abbandonata vicino ai bagni.

La ragazza, in realtà, aveva appena vinto duecentomila euro con un gratta e vinci e aveva deciso di sdebitarsi con la fortuna, col karma o chissà che altro, compiendo una buona azione. Dentro la valigetta, le forze dell’ordine rinvennero l’agenda di Sorel, due maschere di Marco Columbro e di Flora Dora, quattro caricatori e duecentomila euro in contanti. Quanto bastava per collegare “Bood” alla rapina di qualche giorno prima.

Quando i carabinieri andarono a prelevarlo dalla sua abitazione gli chiesero un caffè. Sorel disse che lo odiava, il caffè. Uno degli agenti, deluso, gli domandò:

“Ma chi è il cristiano che non ha del caffè in casa?”, e lo colpì col manganello alla bocca dello stomaco.

Sorel finì dentro per rapina a mano armata. Si fece dieci anni.

 

Ecco, oggi Federico “Bood” Sorel è un uomo libero.

L’avvocato gli ha ripetuto più volte di starsene buono. E così “Bood” sta facendo, o almeno, ha promesso.

Anche perché il terzo reato vorrebbe dire ergastolo.

Una sera un maresciallo dei carabinieri va a fargli una visita di cortesia, come si fa tra vecchi amici, gli dice di tirare dritto, gli ricorda che lo tengono d’occhio, gli fa capire che potrebbero aiutarsi l’un l’altro.

“Bood” mantiene le distanze, lo fa accomodare e ossequiosamente gli offre un caffè. Il nostro ha capito che non importa se una cosa ti piace o no, l’importante è comportarsi bene, come tutti. Il maresciallo accetta e ringrazia. Quando è pronto, lo serve con tanto di piattino.

“Cazzo, pure il piattino!” pensa il maresciallo, trattenendo a fatica le risate. Finito il caffè, fa per andarsene, ma suona il citofono: è il prete per benedire la casa.

Sorel pensa: “Ora mi diverto”, e fa salire il prete e i due chierichetti.

“Bood” Sorel è prodigo di attenzioni, è tutto un “Padre, le prendo una sedia”, “Ragazzi, volete delle caramelle?”, “La ringrazio di esser passato, vi aspettavo…”.

Il maresciallo, stupefatto dal nuovo “Bood”, pensa: “Col cazzo che me ne vado, questa la voglio proprio vedere…”.

Mentre Sorel prepara altro caffè, il suo gatto, di nome Pareto, si inchiappetta un orso di peluche, dieci volte più grande di lui.

I chierichetti alzano la testa dai telefoni e ridono. Il prete gli dà due scappelloti.

“Bood” è imbarazzato, chiede scusa: “Pareto! Sporcaccione, pussa via!”, lo rimprovera e lo chiude nel bagno. Censurato il comportamento bestiale del felino, l’uomo apre il suo cuore:

“Vede Padre, sono stato un peccatore, lo sono ancora, ma voglio redimermi. Un buon cristiano deve governare, reprimere e tenere a bada gli istinti. Grazie all’aiuto di Nostro Signore so che saprò resistere alle tentazioni. Col Suo aiuto so che posso ogni cosa, ma la strada sarà impervia e insidiosa…”.

Il maresciallo è senza parole: “Cazzo sembra vero, non ci posso credere”, pensa.

Il prete finisce la benedizione. Benedice perfino il letto.

“Grazie padre, ho fatto anche voto di castità”.

Il maresciallo soffoca una risata, sputa il caffè in terra. “No, questa proprio no, cazzo!”

I chierichetti staccano il viso dai telefonini e ridono. Il maresciallo chiede scusa, “Bood” dice di non preoccuparsi, che tanto avrebbe dovuto fare le pulizie più tardi.

Tra vari convenevoli, i quattro lasciano la casa. Appena si chiude la porta, si sente un fracasso terribile. Il lampadario è crollato, infranto in mille pezzi, dei sacchetti di polvere bianca cadono a terra, i vetri hanno tagliato le bustine.

Il maresciallo, preoccupato, suona il campanello: “Tutto bene? Bood, Bood!”

“No, stia tranquillo, maresciallo, non è nulla!” dice senza aprire.

“Fammi entrare, a me non sembra che sia nulla”.

 

“Bood” apre e il maresciallo vede il lampadario a terra, una crepa, vetro dappertutto, il soffitto sgretolato, pezzi di intonaco sparsi.

“Mi dispiace cazzo, che sfiga. Bood sembri davvero cambiato, guarda ti aiuterei, ma proprio non ho tempo, mi spiace, buona fortuna”, gli porge la mano.

Proprio in quell’istante il gatto, uscito dal bagno, si inchiappetta ancora l’enorme peluche, con foga, troppa foga: il pupazzo si squarcia in due e una polvere bianca inonda la stanza.

Il maresciallo, ricoperto dalla polvere, la assaggia col dito. Sorride. Un barlume di delusione, poi fa un ghigno sereno, di chi vede le cose tornare a girare nel senso giusto.

“Federico Sorel, sei fregato”. “Bood” si mette le mani sul viso, disperato.

Ma all’improvviso, il gatto impazzisce per colpa della coca sniffata e si avventa sul maresciallo, comincia a graffiargli la faccia come indemoniato.

“Bood”, è lesto ad approfittarne, prende una padella e colpisce la nuca del maresciallo.

Ma un altro pezzo di soffitto si stacca e colpisce in pieno la testa di Sorel, che perde i sensi. Pareto è collassato con la lingua di fuori e gli occhi sbarrati, forse morto. Il maresciallo, insanguinato, si riprende dopo qualche minuto e chiama in caserma.

Quando Sorel riacquista i sensi, si trova nell’auto dei carabinieri.

Esasperato dai continui e repentini stravolgimenti, sembra salutare con sollievo l’arresto.

A un semaforo sorride a un bambino che gli fa delle boccacce. Il bimbo appanna il vetro e disegna col dito una macchina distrutta con un’abilità incredibile, sembra real…

La macchina dei carabinieri viene tamponata. Un botto terribile.

Il guidatore sembra morto, il collega svenuto; Sorel, illeso, prende le chiavi dal guidatore ed esce dall’auto.

Federico “Bood” Sorel in quel momento non sa che fare. Rimane in piedi immobile. Si sente come in balia degli eventi: in un pomeriggio è passato da uomo libero a ergastolano quattro, cinque volte.

A quel punto capisce che non è possibile liberarsi dalla dittatura del caso, o ci si abbandona con fatalismo o si muore combattendola.

Intanto, proprio nel palazzo di fronte, un tizio finito sul lastrico per ripagare i debiti della madre, truffata su Internet, si sta buttando dal nono piano. Sorel alza lo sguardo, lo vede volteggiare e roteare come una moneta e pensa:

“Se cade di faccia, rimango; se cade di nuca, scappo”.

 

Un racconto di Andrea Frau

Illustrazione di Alessandro Buro

2 thoughts on “Se un giorno cadi di faccia

  1. Scrittura vivace e racconto molto divertente. Su tutto, direi, il gatto che s’inchiappetta il peluche.
    🙂
    ottima intuizione anche il ghigno tra il cinico e il fatalista del finale, con lancio dell’uomoneta…

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