Asterisco- narrandom_ Blog di racconti

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Gentilissimi colleghi,

 

desidero ringraziare l’Università di Tau Bootis, che ci ha messo a disposizione le sue strutture, e il personale del Parco planetario di Arecibo, che ci ha fornito questo magnifico esemplare di Neuropode che vedete alle mie spalle. Questo nobile animale ci permetterà di collegarci telempaticamente e fungerà da traduttore. Prego i colleghi che parlano il centauriano di aiutare quelli meno pratici a maneggiare le appendici del Neuropode. Lì in fondo, prego. Qualcuno è rimasto senza? Splendido. Possiamo procedere con la proiezione.

 

Il modello quadrimensionale che vedete impresso sulla vostra retina è il reperto 2B, recuperato ai confini del nostro sistema da un’elionave addetta al riciclaggio di satelliti in disuso. Il reperto sembra provenire da una civiltà arretrata, ferma agli stadi iniziali dell’ingegneria dei materiali, ed è totalmente privo di supporti per la bioconnessione.

Ci sarebbe altro da dire sulla sua composizione, ma credo che molti di voi già sappiano che l’oggetto di tanta eccitazione è l’iscrizione che esso riporta.

 

Liber* Tutt*

 

Non è senza emozione, cari colleghi, che vi mostro questo graffito, appartenente a una civiltà extracentaurica. Il dipartimento di Centauristica Ricostruttiva è il principale responsabile di questa scoperta, ed è grazie agli sforzi congiunti con il dipartimento di Filologia Pegasea che abbiamo potuto avanzare le nostre ipotesi.

Stiamo parlando di una civiltà dotata di un alfabeto estremamente funzionale, con pochi grafemi, che si alternano e si ripetono per costruire un sistema di concordanze interne. L’incisione sembra essere stata tracciata con uno strumento appuntito. Come vedrete, un segno in particolare ha destato in noi la più profonda meraviglia.

Abbiamo deciso di chiamarlo asterisco, dal nome del celebre centaurologo Asterione, e crediamo ci abbia offerto la chiave di volta per la comprensione di questo affascinante frammento. Gli altri grafemi, infatti, presentano una struttura piuttosto scarna, e sono composti da due soli tratti. L’asterisco, d’altro canto, è più complesso, e funge in entrambi i casi da suffisso o, per meglio dire, da desinenza. Siamo propensi a considerare che la civiltà che si è servita di questo alfabeto si sia attestata su una forma intermedia di evoluzione del segno. Grazie all’uso dell’asterisco, i parlanti hanno sostituito alle desinenze, che imprigionano le parole in genere e numero, un ideogramma polivalente che può essere interpretato a discrezione del lettore, venendo così a comprendere la pluralità di generi e numeri esprimibili dalla loro lingua.

Questa, cari colleghi, non è un’idea che possa nascere da un popolo primitivo.

In conclusione, siamo rimasti talmente colpiti da questo rinvenimento che ci siamo arrischiati a proporre una traduzione. Studi futuri potranno smentirci, ma non volevamo perdere l’occasione di celebrare la grandiosità di questo popolo lontano. La frase, se potete immaginarla declinata in qualsiasi genere e numero, significherebbe: che a tutti sia permesso di pensare, esprimersi ed agire, nel rispetto dell’esistenza, senza altro limite che la propria volontà.

 

 

La spia rossa significava che l’orecchio stava ascoltando. Era sempre accesa. Era sempre visibile, al centro del soffitto. In effetti, era l’unica cosa visibile durante le ore del buio, quando si chiudevano gli occhi. Una stella lontana che ascoltava, costringendo al silenzio.

La stazione spaziale galleggiava nel buio muto dei confini della galassia. La maggior parte dei passeggeri era morta da tempo. Eppure, si sentiva un rumore.

“Giulio.”

“Guarda il soffitto, e parla piano.”

“Ti sentiranno.”

“E cosa mi possono fare? Rinchiudermi in una nave di correzione? ”

L’uomo sdraiato sul fondo del container smise di guardare la spia rossa e si voltò.

Accanto a lui, seminudo e collerico, il ragazzo dai capelli rasati incideva il suo graffito con una vite. Il ragazzo smise di strofinare e si voltò verso l’uomo sdraiato a terra.

“Sai quanto mi resta da scontare?”

“Dieci cicli di Saros”, rispose l’uomo.

“Dodici. Pensi che sopravviverò al prossimo?”

“Penso che tra poco saremo morti.”

“Per questo lascio un segno. Se dovessero ritrovarlo, voglio che sappiano che abbiamo mantenuto la nostra identità, che non ci siamo piegati all’oblio.”

L’uomo sdraiato a terra pensò agli ultimi dieci anni, pensò alle uniformi, alle cacce spietate nelle strade, alle leggi, ai morti. Aveva troppe domande, ma ne scelse una.

“Ma chi lo troverà?”

“Non importa. Sarà comunque più umano di loro!”, gridò il ragazzo.

La spia rossa lampeggiava.

“Silenzio, invertiti.”

“Giulio, è la voce. L’hai sentita?”

“Certo che l’ho sentita.”

“Silenzio!”

“Avvelenami, forza! Ti basta digitare un codice e morirò ad anni luce di distanza.”

La spia divenne verde. L’orecchio, comunque, ascoltava anche in quel momento.

“Giulio, la luce!”, gridò l’uomo sdraiato a terra.

Si coprì le spalle con le mani, poi vide il ragazzo cadere. Arrancò gattonando fino a raggiungerlo, illuminato dai riflessi verdi. Lo abbracciò, si strinsero come due scheletri ammalati, poi lo scosse per farlo parlare.

“Mi sento scomparire”, disse il ragazzo.

“Giulio…”

“Finiscila tu, Marco. Per noi, per tutti e tutte. Ci troveranno, scopriranno la verità. La storia si vergognerà per quello che ci hanno fatto.”

“Ti amo, Giulio.”

                                       Un racconto di Francesco Losapio

Illustrazione di Alessandro Buro

2 thoughts on “*

  1. Commovente. Avrei voluto fosse più lungo, che avesse avuto un respiro più profondo. Sono stata in apnea leggendolo. Bravo.

  2. Mi associo al giudizio positivo. Avrei preferito uno stile meno scarno ma il racconto è bello e profondo. Complimenti.

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