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Tonino

Tonino il maiale thailandese era il presagio grufolante della sua sempre più inevitabile sconfitta; non c’era contraerea che potesse arginare l’impatto nella casa di quel barilotto nero di quaranta chili: presto la campagna sarebbe andata perduta, presto tutto sarebbe andato perduto. Ad essere sinceri nutro il sospetto che né lui né lei si ricordassero davvero com’era cominciata.

Sicuro c’era stato un momento in cui avevano smesso di trombare; lei diventava ogni giorno più grassa, lui passava sempre più tempo in bagno, i cellulari rendevano il porno sempre più parte integrante delle loro vite mortali, poi una notte aveva aperto gli occhi mentre l’abitudine, che nel sonno sempre prende il sopravvento, li aveva portati ad abbracciarsi dolcemente e, trovandosela davanti d’improvviso, si era urlato via i polmoni dallo spavento; in quel momento un filo di bava era schizzato via dalla sua bocca e si era spiaccicato contro il muro, come biancastro presagio della liquefazione di ogni prospettiva futura.

Qualche sera dopo si era persino spinto a tentare di baciarla di nuovo, lui pover’uomo ingenuo, risultato: una doccia di moccio dal suo starnuto a getto, moccio opaco e corposo, lei e la sua sinusite cronica, loro e i loro scambi di liquidi ormai fuori contesto.

Da quel giorno avevano deciso di non riprovarci neanche più, di comune accordo. Bei tempi, quelli, la loro privata età della disfatta, i loro vicini ricordavano gli eterni silenzi notturni con nostalgia.

Alla fine è andata come doveva andare; guerra fredda, e Agosto bollente era un’arena fin troppo efficace: l’estate fiaccava la voglia di scontro ma incendiava le grida, le loro vendette a catena ingombravano la casa, il sole violento le portava alla luce.

Avevano cominciato con la classica tavoletta abbassata prima di farsi una pisciata, con gli assorbenti sporchi dimenticati sul bordo del lavandino, passando per il domino di porcellane della zia Guanda, è successo per caso spolverando la vetrina, gliel’aveva detto o non gliel’aveva detto lei che risparmiare sui mobili creava solo problemi: ante troppo strette, troppo difficile da pulire, ecco che succede ad essere avari, e mica un avaro qualunque, poi, il signore degli avari… E lui a sbraitare che gliele avrebbe tagliate quelle mani di merda, l’avesse mai toccata una volta, una singola volta quella vetrina, per dargli una spolverata, o chessò, qualcosa del genere, e ora tutto insieme la smania le era presa, ma lui gliele avrebbe tagliate quelle mani di merda, ah se gliele avrebbe tagliate.

Allora non c’era stato altro modo che passare all’artiglieria pesante. Tonino il maiale thailandese era entrato in casa ben imbracato in un guinzaglio rosa di cotone intrecciato e una medaglietta romboidale di bronzo al collo che indossava fieramente. Perché Tonino, pur ignaro del suo grosso valore simbolico, grosso come le sue ben nutrite chiappone ballonzolanti da maiale da compagnia, sapeva dentro di sé di essere il cardine di tutto ciò che gli avesse mai ruotato attorno.

Successe questo. Per la prima volta dopo tanto tempo lui salutò con verve accentuata.

«Tesoro! Sono a casa!»

Attraverso il corridoio lei lo fulminò dalla cucina.

«Cos’è quello?», fredda come la busta di piselli che aveva appena tirato fuori dal surgelatore.

Lui e Tonino si avvicinarono alla cucina; il maiale thailandese grugniva e grufolava, martellava allegro gli zoccoli sul parquet, gioiosamente ignaro di essere il culmine della corsa agli armamenti.

I due si fermarono esattamente sulla soglia; lei fece cadere i blocchi di ghiaccio e piselli sparsi durissimi nel lavandino; si sentì un CRACK.

«Non osare.»

«Ma amore, ricordi, hai detto che parliamo due lingue differenti…»

«Non osare.» Le sue parole erano elastici tesi che attendevano solo di essere rilasciati.

«…così ho pensato che tu e Tonino vi sareste potuti capire al volo.»

«L’hai chiamato come mio padre.»

Se l’intera busta di piselli surgelati le fosse andata di traverso e si fosse in realtà rivelata il covo di un parassita alieno che prende il controllo del tuo cervello e ti modifica il timbro vocale e se lei, dopo di ciò, avesse detto queste stesse parole sanguinando dalle orecchie, e dal naso, e dalla bocca ed emettendo suoni gutturali simili allo scarico del cesso gravemente danneggiato dalla notte di San Patrizio di un pub irlandese di periferia, di certo quelle parole sarebbero risultate meno inquietanti di così come ora lui le sentiva nella realtà.

«Non posso cambiarlo oramai, vedi? Gli ho già fatto fare anche la targhetta.»

Tonino il maiale thailandese era il presagio grufolante della sua sempre più inevitabile sconfitta; non c’era contraerea che potesse arginare l’impatto nella casa di quel barilotto nero di quaranta chili: presto la campagna sarebbe andata perduta, presto tutto sarebbe andato perduto. Ad essere sinceri nutro il sospetto che neanche lei si ricordasse davvero com’era cominciata.

Improvvisamente però lui ebbe l’illuminazione. Era stata tutta colpa di quel set di coltelli; mai regalo di nozze fu più infausto: e fu così che lo zio Pino e la zia Cati passarono la fiaccola della tragedia ai due giovani e ancora inconsapevoli coniugi, una tragedia che avrebbe travolto sia lui che lei.

«E poi tu hai occupato tutto il banco della cucina con quei coltelli del cazzo. Ho sempre voluto una bistecchiera, ma a te non te n’è mai fregato un cazzo, eh?»

Successe tutto molto velocemente; il set di coltelli era a poco meno di un metro da lei. Prese quello più grosso, che era anche il più appuntito, a malapena riusciva a stringere il manico di acciaio laccato per intero nella mano.

La lama scintillava alla luce del sole che sopravviveva al filtro delle tendine da cucina.

Lei si avventò su Tonino con una tale furia omicida che il piccolo maiale thailandese non poté fare altro che pisciare sul parquet.

«TONINO! NO!», gridò lui, e tutto cominciò ad andare al rallenty, le mani di lei che sferravano la coltellata a rallenty, il suo corpo che si interponeva al rallenty tra lei e il maiale, in un volo magistrale che neanche alle finali delle olimpiadi se ne vedono di così sentiti, la loro relazione che al rallenty si lacerava come la sua pancia, come fanno le relazioni, al rallenty, mentre a rallenty lui capiva che, permettendole di uccidere il maiale, sarebbe stato come guardare lei uccidere una parte di se stesso.

Tonino, la Megattera infuriata e il Tricheco orgoglioso, tutto al rallenty e giusto e però veloce proprio come in un film.

State a sentire me, che ne so sia della loro coppia che di film: infatti sono la plafoniera del salotto.

Illustrazione:  Alessandro Buro

Luca Marinelli

Ha per tanto tempo pensato di essere un attore famoso. Poi si è reso conto che quello, a differenza sua, era nato in un carciofo alieno. Da allora scrive per compensare il distacco tra quello che è e quello che sarebbe voluto essere e con la scrittura si è fatto tanti amici. Alcuni di questi sono anche delle persone vere.

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