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Accidia

Smontata la croce, smobilitati i centurioni, avvolto il corpo nel sudario e riposto nel sepolcro, nostro signore Gesù Cristo morì. I fedeli tutti assistettero al suo calvario e al supplizio, vedendo il sogno del Messia infrangersi di fronte ai loro occhi, sulle braccia dure e legnose della croce.

Quello che ancora non sapevano era che Nostro Signore Gesù Cristo, in quell’angusto sepolcro di pietra, ricominciò a respirare in quanto egli era Figlio di Dio. Ahi, quanto gli pesò esserlo, in quel momento.

In principio, un respiro. Poi un altro e un altro ancora, ciclici ed esausti: Gesù li ascoltava ripetersi, perso nell’interminabile ritmo del suo petto. Ogni tanto, sbirciava il pesante macigno che bloccava l’uscita e teneva fuori la luce e il calore. Ma Gesù era vivo: per resistere al gelido ventre della montagna bastava stringersi nel sudario e il tepore del corpo, così contenuto, avrebbe fatto il resto.

Fu allora, nell’attimo in cui si rassegnò e quasi si acclimatò a quel buio, che una luce abbagliante, la luce che solo quando nacque vide mai, squarciò le tenebre della grotta, ferendogli gli occhi.

«Figlio di Dio!», chiamò la voce. «Figlio di Dio!»

«Piantala!»

«Figlio di Dio, alzati! Risorgi dalla grotta e porta il verbo di tuo Padre alle genti!»

Gesù non seppe che rispondere, si limitò ad avvolgere un largo lembo del sudario sulla testa, mentre dalla luce si sporgeva una sagoma alata ed eterea.

«Sorgi dai morti, Figlio di Dio!»

«E piantala!», gridò Gesù scagliando un sasso che si trovò sottomano, centrando in piena fronte l’angelo e attutendo istantaneamente la sua luce: lo riconobbe subito.

«Ah, Gabriele…», lo apostrofò Gesù. «Proprio te ha mandato. Fantastico», commentò acidamente.

«Sì, proprio io…», ripeté Gabriele, massaggiandosi il sopracciglio offeso. «Tuo Padre si chiede cosa tu stia facendo»

«Non lo vedi? Dormo, come deve fare un morto.»

«Ma tu morto non lo sei! Andiamo, tu sei il Figlio di Dio!»

«E basta chiamarmi figlio di dio! Sono stufo di essere figlio di dio!»

«Gesù, la maiuscola…»

«Sono stufo pure della maiuscola!», sbraitò Gesù, tornando ad avvolgersi nel sudario.

Gabriele non sapeva bene che dire, sbuffò esasperato dalla cocciutaggine di colui che un tempo fu giudicato saggio tra i saggi, quando era solo un dodicenne tra i sacerdoti del tempio. Ora un dodicenne lo sembrava, ma certo un saggio non più.

«D’accordo… Ascoltami, capisco che tu te la sia presa… La croce, le frustate…»

«Il tradimento, gli amici che ti rinnegano…»

«Eh… appunto. Ma ora gliela puoi far vedere, Gesù, ora sei risorto! Chi mai potrà più dubitare che sei il Figl-»

A questo punto si interruppe l’arcangelo, quando nostro signore Gesù Cristo lo fulminò con lo sguardo.

«Suo Figlio. Insomma, ora viene il bello, ora potrai portare la buona novella a tutti.»

«A tutti quelli che mi hanno appeso o che hanno taciuto per salvarsi la pelle?»

«E su, Gesù, non fare il bambino. Che poi, tu lo sapevi benissimo che sarebbe successo. Ricordi? A tredici anni, venni io in persona a spiegarti tutto per filo e per segno. Ti sei disperato, ti sei fatto il tuo bel pianto, poi un bel giorno hai accettato la volontà di tuo Padre. Perché te ne lamenti adesso?»

Gesù ricordò gli anni della disperazione, la delusione provata nel sentirsi dire, dopo che i sacerdoti gli garantirono un posto assicurato nel tempio, che tutto ciò sarebbe dovuto servire a suo Padre, colui che lo aveva generato e a cui doveva tutto; e che per consacrare la redenzione dell’umanità, lui avrebbe dovuto patire sulla croce. Ripercorse, in pochi istanti, ogni momento trascorso, dall’amore per Maddalena all’amicizia dei discepoli, fragili come tutti gli umani, fino al rammarico di Pilato nel condannarlo per l’asprezza di cuori duri e timorosi e infine il patimento delle peggiori torture romane. Gesù ricordò e parlò.

«Nessuno mi aveva detto che la crocifissione facesse così male», disse, facendo abbassare lo sguardo all’angelo.

«E nessuno mi aveva detto quanto facesse male vedere i tuoi amici girarsi dall’altra parte mentre vieni scotennato come un capretto pasquale!»

Una lacrima rigò il volto umano e divino di Gesù, mentre raccontava la delusione nel capire quanto infidi fossero gli uomini, e il tono amareggiato del giovane quasi commosse lo stesso arcangelo.

«Nessuno mi aveva detto cosa volesse dire essere umano. E nemmeno cosa volesse dire essere l’umano più speciale della storia.»

«Ma ora potrai ascendere, Gesù! Ora potrai mostrare ai tuoi amici il loro errore e far sì che loro lo mostrino all’umanità, come ha stabilito tuo Padre.»

«Mio Padre… Ecco, con lui due paroline le vorrei scambiare!»

«Bene! Allora sposta il macigno, fai il tuo dovere e poi potrai parlargli quanto vorrai!»

«No, no, caro. Lui viene quaggiù e mi spiega quello che aveva in testa. Perché io sono stufo di dover vivere la mia vita come dice lui, che ha i progettoni per il suo mondo perfetto e che ancora non ha capito che nessuno lo caga più!»

«Gesù!», urlò sbigottito Gabriele.

«Sì, Sì, hai sentito bene! Ti pare che quella gente valga lo sforzo? Io, per quei traditori e assassini, non alzo un mignolo, che è proprio quanto basterebbe per tirare via quel sasso là!»

E così dicendo, Gesù si ributtò tra le braccia del sepolcro, sotto gli onniscienti occhi del seccato arcangelo.

«Oh, povera stella…»

«Povera che!?»

«Lascia perdere… Senti, Gesù, hai tutte le ragioni per essere arrabbiato con Lui. È vero, non è stato corretto mandarti allo sbaraglio, non è stato corretto farti abbandonare tutti e nemmeno farti sbeffeggiare da Gerusalemme intera che ti credeva un cialtrone. Ma…»

«Ma?»

«Ma…», esitò Gabriele, cercando un modo sensato di continuare il discorso. «Ma… Se… Se tuo Padre ha detto che era giusto… Allora era giusto… giusto?»

Gesù nemmeno si degnò di rispondere e tornò a sdraiarsi.

«Vattene, su. Lasciami qua nella mia oscurità, che non ne ho voglia. Tutte le meraviglie di Papà non valgono lo scotto. Va’ e prega che io muoia per davvero, piuttosto.»

Gabriele, senza aggiungere altro, se ne andò, togliendo a Gesù quella poca luce rimasta.

Nel frattempo, le Tre Marie aspettavano impazienti di fronte all’entrata del sepolcro, quand’ecco che Gabriele apparve loro, a capo chino.

«Dunque?»

«Dunque non vuole uscire.»

«Come sarebbe non vuole?», domandò sorpresa una delle donne.

«Se l’è legata al dito?», chiese Maria Vergine.

«No, Maria… Credo che non gli importi più nulla.»

A quelle parole, le donne caddero in preda alla disperazione; e strappandosi i capelli urlarono il nome di Gesù Cristo Nostro Signore perché si decidesse a uscire dal sepolcro e salvare l’umanità intera. Di fronte al loro chiasso, Gabriele rifletté e, alzando la mano, impose il silenzio alle donne.

«Possiamo…», esordì incerto l’arcangelo.

«Possiamo?», chiesero le donne all’unisono, le mani giunte.

«Possiamo… Possiamo mettere una barba.»

«Una barba?», chiese diffidente la Maddalena.

«Sì, una barba. Non per male, Maria, lei è più vecchia, la voce le si è fatta roca… Se le mettiamo una barba e facciamo un po’ di giochi di luce, lei potrebbe anche sembrare suo figlio».

«Come sembrare mio figlio? Io?», chiese Maria, che si era fatta tutta rossa.

«Solo per qualche minuto. Le facciamo delle stigmate con il vino rosso, lei le fa toccare, che tanto sono tutti ubriachi, e al resto ci penso io».

«Capisco, ma… La resurrezione?», chiese la vecchia Maria.

«E la salvezza dei popoli?», chiese la Maddalena.

«E il regno dei Cieli?», chiese la terza Maria, che nessuno capì bene chi fosse, ma già che si offriva di portare le pesanti giare di oli funebri fu accettata.

Alle domande delle tre donne, Gabriele rispose allargando platealmente le braccia e stringendosi nelle spalle.

«Eh. Quando il signorino ne avrà voglia».

Così la riunione fu sciolta. Tre giorni dopo, annebbiati dal vino, gli Apostoli glorificarono l’imbarazzata e barbuta Maria.

Illustrazione di Annachiara Vivi

Guido Zanetti

Guido nasce a Genova nel 1992. Cresce a Pavia, dove studia filosofia per tre anni e tre quarti. Corre a Torino, dove studia sceneggiatura alla Scuola Holden.

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