La Statua

3 febbraio, edicolante

Questo vecchio è inquietante. Sono due mesi che si ferma davanti all’edicola alle tre e quaranta, fissa i titoli dei quotidiani, e poi passa oltre. È la stessa ora in cui spunta anche Rita, ma il vecchio mi intralcia la visuale e finisce che non riesco mai a godermela bene. Che donna, Rita! Con quelle due tette enormi e quel gran posteriore! Ma non è che può avvicinarsi e parlarmi se c’è anche questo maledetto vecchio! Lui si siede sempre nello stesso posto: sulla panchina della piazza che dà sulla statua. Una brutta statua a forma di angelo arcigno. Assomiglia al marito di Rita, quel cretino pomposo che si dà un sacco di arie perché è un carabiniere in pensione, e guarda tutti dall’alto in basso. Glielo vorrei far sapere al carabiniere: guarda che mi scopo tua moglie! Tanto la pistola d’ordinanza l’ha deposta da un pezzo, e non solo quella.

Oggi non va bene niente, perfino Peppino è in ritardo con la consegna, e sono già tre minuti che il vecchio fissa i quotidiani. Uno di questi giorni glielo dico: compri qualcosa o no? E se proprio non vuoi comprare niente, almeno abbi la decenza di passare un po’ prima o un po’ dopo, così posso parlare con lei.

 

9 marzo, Rita

Quell’uomo non mi piace per niente. Oggi, mentre aspettavo Riccardino, sono rimasta almeno dieci minuti a guardarlo, e lui niente, impassibile. Ha un’aria poco raccomandabile. Certo, è vestito bene, completo d’alta sartoria, si capisce, cappello e guanti compresi. Però ce l’ho detto alla Vanda, quello è un tipo losco. Non sta mica bene che sta seduto in piazza solo nell’oretta in cui i bambini escono da scuola. Sarà un maniaco, poco ma sicuro. I bambini giocano in piazza mentre noi mamme ci salutiamo e lui è lì, è sempre lì, e fa pure il finto tonto. Ma io ce l’ho detto alla Vanda, uno di questi giorni chiamo le guardie, sto solo aspettando che mi ci guardi un po’ troppo il mio Riccardino e poi gliela faccio passare io la voglia di fare lo scostumato.

16 aprile, Giacomo

Ma che quello lì mi sta fissando? Cristo, oggi c’è un caldo fottuto. Non ho nemmeno bisogno di usare l’accendino, il fumo si squaglia da solo. Quella stronza di Vero quando arriva? Le ho detto che non mi va di aspettare qui che schiodi il culo da lavoro. Se la crede un sacco solo perché sua madre l’ha piazzata in posta, capirai, non farei quel lavoro di merda nemmeno per 2000 euro al mese. Quel vecchio del cazzo continua a guardarmi. Fra cinque minuti i mostriciattoli usciranno da scuola e non potrò più fumare in pace per via di quelle snob con la scopa nel culo che vengono a prenderli. Odio questo paesino di merda, questa piazzetta del cazzo, quell’idiota di Lollo che s’è fatto infinocchiare ancora dal marocchino che promette piastra fina, e alla fine ti rifila sempre ‘sto puzzone di merda che non sballa un cazzo. Basta, mi sono rotto, Vero può andare a farsi fottere, lo scroccasse a Dario il passaggio in motorino. Ma non lo sa che stasera suono al locale? Forse c’è anche il tizio della casa discografica, se mi va di culo mi firma un contratto e me ne vado a Milano. Sì, meglio schiodarsi, il vecchio continua a fissarmi. Non lo sopporto più, manco mi stessi facendo una spada! Fanculo.

29 aprile, Asia

Ecco, lo sapevo, succedono sempre tutte a me. Ci mancava solo il cellulare scarico. E ora come ci arrivo in via Verdi? Papà mi ammazza se non mi sbrigo, l’ufficio chiude alle quattro, e lui mi aspetta per andare a scegliere insieme quella benedettissima scrivania per la camera da letto. Certo che poteva anche accompagnarmi! Va bene, la multa l’ho presa io, ma come potevo sapere che il cartello del divieto di sosta era coperto dai rami dell’albero? Potevamo restarcene a Genova, invece di trasferirci in questo paesino dimenticato da Dio. Un momento, l’ho preso il portafogli? Perché in questa borsa non trovo mai niente? È tardi, cavolo, devo sbrigarmi! Forse posso chiedere a quel signore seduto sulla panchina se sa dove si trova la posta più vicina. Mah, sembra un tipo tranquillo, anche se sono cinque minuti buoni che non si muove di un millimetro. Sarà mica morto? Mi ci manca solo quello! No, magari si è appisolato, in fondo ha un’età. Oh, un’edicola, chiedo lì? Gli edicolanti sanno sempre tutto di tutti.

5 maggio, Carlo

Mauro e Paolo hanno la faccia come il culo. Potevano anche dirmelo di andare con loro all’acquario! Fanno sempre un sacco di cose pazzesche e non mi dicono mai di andare con loro. Che palle. Il nonno è malato e devo andare da zia Dina finché non viene a prendermi mamma. Casa di zia Dina puzza di pipì di gatto e non mi fa mai guardare i cartoni. Speriamo almeno che c’è Simone. Mio cugino è il migliore. L’ultima volta mi ha fatto vedere un porno con due lesbiche cinesi che limonavano duro. Mi dice sempre: Carletto, ormai hai dieci anni, è ora che scopi anche tu. Io ci provo a sfregarmelo un po’ come mi ha fatto vedere lui, ma non esce mai niente. Forse sono rotto. Vorrei chiederglielo, ma poi ho paura che mi crede ritardato, e addio porno con le cinesi. Papà dice che per diventare grandi ci vuole ancora un sacco di tempo, ma io mi sono scocciato di essere l’unico della mia classe a cui non esce la sborra.

C’è ancora lo strambo sulla panchina. Non si leva mai i guanti, forse ha qualche schifosa verruca sulle mani. Ora glielo chiedo. Merda! C’è quell’impicciona di Rita. Tiro dritto, altrimenti non si schioda più con le sue domande su papà e sulla sua nuova ragazza.

 

19 maggio, agente di ronda Balducci.

Così è quello il tizio sospetto. La signora è stata chiara: un signore anziano, vestito bene, piantonato sulla panchina durante l’uscita di scuola dei bambini.  Sì, deve essere lui per forza. Speriamo che si sbagli, stasera c’è la Juve e non ho voglia di compilare duemila scartoffie per il fermo di un maniaco. Che mondo, meno male che non ho figli.

“Mi scusi, lei, aspetta qualcuno? Magari uno dei suoi nipoti frequenta il Galileo Galilei?”

“Buon pomeriggio, agente. No, in verità non ho nipoti, anche se mi sarebbe piaciuto averne uno”

“Si gode un bel pomeriggio di sole?”

“No, non sopporto il caldo. Però, cerco di non pensarci”

“E allora cosa ci fa qui immobile?”

“Sa, a dicembre sono andato in pensione. Trentacinque anni nello stesso posto. Cucivo completi d’alta sartoria. Lei porta una quarantotto, vero? Ero bravo nel mio mestiere. Pensi che quando sono andato via la proprietaria mi ha regalato questo paio di guanti”

“E quindi, ha deciso di trascorrere i suoi pomeriggi in piazza per non restare tutto il tempo a casa ad annoiarsi?”

“No, anzi, avrei molte cose da fare. Ho anche già comprato i materiali, che crede! Ma un mio amico al comune mi ha detto che presto la rimuoveranno, per metterci una di quelle fontane con i getti d’acqua che partono dal cemento, per far divertire i bambini”

“La rimuoveranno?”

“La statua. L’ho fatta io, sa? Ormai sono quarantadue anni; Ero molto bravo all’epoca, se solo fosse bastato per pagarci le bollette”

“Caspita!”

“Già, mi piace guardarla, adesso che sta per essere sostituita. Pensi che prima di saperlo non passavo quasi mai per questa piazza. Ora mi siedo qui e immagino cosa sarebbe successo se le bollette non fossero contate poi così tanto. E lei, ci pensa mai?”

Indubbiamente è una bella statua, l’angelo assomiglia un po’ a nonno Filippo, ha la stessa espressione divertita e austera. Nonno Filippo, non ci pensavo quasi più. Da bambino mi portava sempre a pescare. Adoravo pescare. Mah, quasi quasi stasera controllo in cantina, magari ho ancora tutta l’attrezzatura. Sì, una bella statua, davvero.

Un racconto di Giovanna Giordano

Foto: Mario Aielli

Giovanna Giordano

Giovanna nasce in padania da genitori terronici, dal nord ha imparato ad alcolizzarsi di vino, dal sud a mangiare come se non ci fosse un domani. Da piccola ha frequentato tutte le scuole cattoliche che Verona offriva, infatti poi è diventata atea. Da grande vuol far parte del fronte liberazione nani da giardino.

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