Narrandom_Onanismo_Bressani_ Blog di racconti

Siamo lupi che ululano

Paolo, che cos’è questo rumore?

Torna a dormire

Ma cos’è questo rumore?

Non c’è nessun rumore, Chicco, e ora torna a dormire.

Prima c’era. Era strano.

Chicco se continui ti gonfio, ora torna a dormire.

Ok Paolo. Buona notte.

‘Notte.

Nella stanza ricadde il silenzio. Chicco si tirò più su le coperte fino a farle arrivare sotto al naso e rimase zitto. Teneva lo sguardo fisso sulle doghe del fratello, immaginandosi di poter vedere il soffitto della camera. Aveva provato in tutti i modi a convincere Paolo a lasciargli il letto di sopra, ma senza risultato. Chicco era arrivato a offrirgli mesi interi di schiavitù, si era offerto di aiutare per sempre, al posto suo, il papà in tutti i lavori domestici. Con le lacrime agli occhi, mentre batteva forte con i piedi per terra, aveva detto al fratello che gli avrebbe dato Willy, il suo peluche preferito a forma di lupo.

Vedi Paolo, guarda gli occhi! Sono celesti e ha la palla al centro nera, vedi com’è bello? E ha il pelo di due colori e mezzo vedi? Qui bianco e qui grigio e qui sulla testa ha una macchia marrone che sembra cioccolato! Gli sta bene la macchia marrone, è ancora più bello con quella macchia. Allora se ti do Willy mi fai dormire a me sul letto di sopra?

No Chicco, non rompere.

Quel giorno aveva guardato il fratello con gli occhi larghi e la bocca aperta. Non capiva perché non faceva lo scambio, cavolo, Willy è bello quanto il letto alto, pensava. Però un po’ Chicco era contento, almeno così poteva tenere il lupo con sé che lo faceva dormire sicuro, ché sicuro è difficile dormire.

Ogni notte, prima di addormentarsi, Chicco contava le doghe, toccando le più vicine con le mani mentre, le più lontane, con i piedi. Ogni notte le contava e ogni mattina, quando papà lo svegliava per andare a scuola, si dimenticava il numero. E così tutte le sere, contare quelle stecche di legno era sempre un’esperienza nuova. Chicco prese Willy e se lo mise vicino alla testa, e senza aprire bocca gli disse di dargli una mano perché c’era un rumore che non conosceva e lui doveva aiutarlo. Il bambino capì che al lupo andava bene e entrambi si misero in ascolto. Abbassarono il ritmo del respiro, chiusero gli occhi per concentrarsi, fiutarono l’aria della camera riuscendo a percepire ogni sfumatura di odore, tesero le orecchie in attesa.

Un braccio che si muove, sarà Paolo, pensarono.

Un battito cardiaco accelerato, sempre Paolo, pensarono.

Un elastico da pigiama tirato e, subito dopo, uno da mutande. Sempre Paolo, forse dovrà andare in bagno, pensarono.

Un rumore di pelle, come quando hai freddo e ti strofini le mani sulle braccia. Rumore di coperte mosse: ecco il rumore. Rumore di come quando hai freddo più rumore di coperte mosse. Erano certi che il rumore proveniva da Paolo.

Paolo cosa fai?

Il rumore finì e la stanza ricadde nel silenzio.

Niente. Dormi.

Sei tu che fai il rumore!

No, Chicco. Ora dormiamo.

Sei tu!

Chicco hai rotto ora scendo e ti meno.

Mi dici perché fai quel rumore?

No

E dai Paolo me lo dici?

Sei troppo piccolo.

Tu troppo rumoroso.

Mi sto facendo una sega

Una sega?

‘Na pippa Chicco, una cazzo di pippa

E cos’è?

Sei troppo piccolo

Se non me lo dici domani lo dico alla mamma

Come se potesse farci qualcosa

Allora lo dirò a papà.

E io ti gonfio

“Papà, papà ieri Paolo si stava facendo una pippa!”

Ok, vaffanculo, te lo dico. Una pippa è quando tocchi tanto il pisello

Tocchi? Come quando accarezzo mamma?

No, no. La pippa è… la pippa è come quando agiti una bottiglia di acqua e alla fine l’acqua esce!

Quella frizzante che schizza tutta poi?

E fa male?

No, fa bene.

Fa stare bene?

Sì molto. Devi pensare a qualcosa che ti piace, poi agiti il pisello e quello diventa duro.

Ok, ora ci provo.

No, dai. È una cosa che fai da solo.

Ma tu lo hai fatto in camera.

Fa’ come ti pare, ma se lo dici a papà ti uccido.

Chicco disse, senza parlare, a Willy di chiudere gli occhi e di pensare alle cose belle. Il bambino capì che il lupo l’avrebbe fatto.

Pensarono a quando per la prima volta si erano visti, pensarono alla mamma che li aveva fatti diventare migliori amici, alle giornate al mare, alle partite di calcio con papà e Paolo, alla gita all’orto, ai biscotti di zia Maria e alle patatine fritte di Mc Donald. Poi una serie di brutti pensieri: mamma che tossisce tanto, l’ambulanza, l’ospedale.

Strinse più forte gli occhi e tutti i brutti ricordi scapparono via e ripensarono di nuovo alle cose che gli piacevano. Quando furono abbastanza felici decisero di smettere di ricordare e Chicco iniziò a toccarsi il pisello. Con le sue piccole mani l’afferrò e iniziò a muoverlo su e giù.

Paolo stai dormendo?

Sì.

Ho fatto e ora?

E ora non stai meglio?

Sì. Ma funziona sempre?

Che vuol dire?

Se mi faccio una pippa poi sto sempre meglio?

Ogni volta che te la fai!

E le bambine si fanno le pippe?

Penso di sì

E mamma e papà si fanno le pippe?

Ma che schifo Chicco! Vai a dormire ora e basta! Hai rotto e ho sonno.

La mattina venne svegliato dal papà. Chicco lo abbracciò forte, ancora sbadigliando e con gli occhi celesti arrossati dal sonno. Andò in bagno, sempre col lupo vicino a lui, e davanti alla tazza, si abbassò i pantaloni per fare pipì. Prima di rimetterlo dentro le mutande controllò il pisello: aveva paura che la pippa l’avesse rovinato. Chicco non andò subito a fare colazione in cucina col padre e il fratello, prima decise di andare a dare un bacio alla mamma. Aprì la porta lentamente, la madre continuò a dormire nonostante il rumore, da alcuni mesi, in realtà, continuava a dormire nonostante tutto. Chiuse la porta alle spalle e si avvicinò al letto della mamma. Le passò una mano sulla fronte e poi, sollevandosi sulle punte, le diede un bacio sulla guancia. Con le piccole mani le alzò la camicia da notte fino alle anche, rivelando così le gambe grigie e raggrinzite. Mentre il suo volto arrossì le slacciò il pannolone. Un forte odore di cacca salì dal letto, ma lui trattenne il fiato e si mise sulle punte per guardare meglio. Si accorse che il pannolone era sporco di cacca e che dalla patatina della madre usciva un tubicino che finiva in una sacca quasi piena di un liquido giallognolo.

Ributtò nella pancia un conato di vomito, e mise delicatamente la mano, stretta a pugno, sopra la patatina della madre iniziando a muoverla come la sera precedente. Sorrideva, sorrideva tanto.

Improvvisamente entrò nella stanza il papà con la sua tazza di caffè.

Che cazzo stai facendo?

Il padre si avvicinò velocemente e cercando di bloccarlo fece cadere la tazza di caffè a terra. Il papà gli diede uno schiaffo così forte che a Chicco cadde il lupo dalle mani. Il padre, continuando a urlare, trascinò il bambino fuori dalla stanza. Il lupo rimase lì, esattamente al centro della pozza di caffè. Che lo colorò. Lo cambiò, cancellando il cioccolato.

Un racconto di Giulio Fenelli

Un’illustrazione di Federico Bressani

Giulio Fenelli

Romano DOC. Da piccolo ha frequentato corsi di equitazione circense, golf, tennis, sci alpino e appenninico, e nel tempo libero scriveva poesie. Poi ha conosciuto il whiskey e le sigarette, e alle poesie non ci ha più pensato. Sogna in piccolo: gli basterebbe scrivere il nuovo Notturno Cileno e timonare il suo Pequod.

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